Con l'alleanza del papato con la dinastia carolingia, si rende necessaria una unificazione del rito su tutto il territorio di influenza. Il nuovo repertorio unificato viene, secondo la leggenda, compilato da papa Gregorio Magno, sotto diretta dettatura dello Spirito Santo. La realtà dei fatti è ovviamente molto diversa: la figura di Gregorio è stata usata più che altro per rendere divina e indiscutibile l'unificazione. Sappiamo infatti, che parte del repertorio è stata definita dopo la morte del pontefice.
Il canto liturgico diventa, come la Bibbia, patrimonio che deve essere tramandato fedelmente.
Scompare così la componente improvvisativa che ha caratterizzato i canti fino a quel momento, e i cantori si trovano costretti ad imparare a memoria tutto il repertorio (nelle Scholae Cantorum, il ciclo di studi durava in media 10 anni!). Così si prende l'abitudine, in modo originale in ogni centro monastico, di scrivere dei segni, detti Neumi, sopra alle sillabe da cantare (come aiuto mnemonico).
I primi canti ad essere corredati di neumi sono quelli di più rara esecuzione. Ma presto si passa a segnarli su tutto il repertorio, in modo sempre più particolareggiato. Tanto da arrivare a riempire completamente gli spazi tra una riga e l'altra di testo e addirittura sforare nel margine destro.
Il passo successivo viene fatto dai monaci copisti, che per permettere ai cantori di segnarsi i propri neumi, prendono l'abitudine, nella copiatura di un libro, di lasciare una linea vuota tra ogni riga di testo.
La linea a secco tirata dal copista e lasciata ai cantori diventa così il primo riferimento per indicare l'altezza relativa delle note di un canto.
È qui che entra in gioco l'operato di Guido d'Arezzo (991 - 1033), monaco e trattatista (il primo nella storia che si occupa di problematiche legate alla pratica musicale, piuttosto che alla teoria), che propone in un suo testo l'uso di una notazione musicale unica che verrà adottata universalmente dal XI secolo in poi.
Egli introduce l'uso del tetragramma, un sistema di quattro righe parallele in cui poter indicare l'altezza relativa delle note di un canto. Per determinarne, invece, l'altezza assoluta, il monaco propone due soluzioni: quella di colorare le due righe corrispondenti al fa (rosso) e al do (giallo), in modo da poter individuare velocemente il semitono, e quella di porre una chiave in corrispondenza di un rigo, che identifichi una particolare nota. Da questo secondo metodo, si sono sviluppate le moderne chiavi musicali, che usiamo tutt'ora.
L'evoluzione delle chiavi musicali e il tetragramma |
Così nascono i nomi delle note, le chiavi e la notazione musicale delle altezze. Per quando riguarda la notazione ritmica, bisogna aspettare ancora un secolo. Il ritmo era infatti dettato dalla musicalità intrinseca della lingua latina.
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