Gioachino Rossini (1792 - 1868) è il primo (in ordine cronologico) grande compositore di melodramma italiano dell'Ottocento. Le sue opere costituiscono il ponte tra opera settecentesca ed ottocentesca, sia nel campo dell'opera seria, in cui pone le basi per la visione romantica dei suoi successori, che nell'opera buffa, che porterà al massimo splendore (insieme a Donizetti) prima del naturale declino del genere.
Al contrario dei suoi illustri contemporanei e successori (Bellini, Donizetti, Verdi e più tardi Puccini), non vi è ombra di romanticismo nelle sue opere (a parte nell'ultima, Guillaume Tell nel 1829). Egli stesso si ritira dalle scene (dopo solo trent'anni di attività e al culmine della celebrità), perché non condivide il nuovo pensiero romantico.
I suoi personaggi non sono animati dalle loro passioni e non agiscono secondo la propria soggettività. L'autore non partecipa alle loro vicende ma li anima dall'alto, come se fossero marionette. Sono uomini e donne succubi del loro destino, che si scontrano con il loro fato in situazioni per loro incomprensibili, ed in tali scene, si perdono e vanno in confusione, dando luogo a momenti di non-sense in cui Rossini si esprime nel suo tipico stile di ritmo, dinamica e parole spezzate.
È proprio una di queste scene che vorrei proporre, parte della Cenerentola (1817), il classico esempio di momento di confusione a cui sono spinti i personaggi del burattinaio-Rossini. Tutto il brano gioca su effetti linguistici, ritmici e dinamici, che mostrano l'incapacità dell'uomo di reagire e comprendere il proprio destino.
Verrà da pensare: "Ma questo, che cosa ha fumato?". Sembra follia, ma è Genio.
Il XVI secolo è un periodo di grandi cambiamenti in Europa, soprattutto per quanto riguarda la religione. Avviene in questo momento storico, infatti, la Riforma protestante da parte di Martin Lutero, e la conseguente Controriforma cattolica, regolata dal Concilio di Trento (1545 - 1563).
In Germania Lutero incentra il culto protestante sulla musica, affidando alla forma del Corale la partecipazione dell'assemblea dei fedeli al rito.
In Italia, negli ultimi anni dei Concilio, ci si dedica alla ridefinizione del repertorio sacro, delineandolo in tre fondamentali punti:
Abolizione di tutte le Sequenze, tranne 5 scelte. Le Sequenze erano brani liturgici costituiti da un melisma al quale veniva aggiunto un testo. Nate come aiuto mnemonico, sono poi diventate parte costitutiva del repertorio liturgico.
Abolizione, all'interno dei brani sacri, di Cantus Firmi di origine profana. Il Cantus Firmus è la base su cui si costruisce l'intera composizione sacra. È una melodia con testo sacro che viene eseguita da una delle voci coinvolte (di solito il Tenor - da tenere) a valori molto larghi, mentre le altre "ricamano" in tessiture superiori.
Intelligibilità dei testi sacri cantati. Gli ecclesiastici erano convinti che la polifonia, con gli intrecci melodici, il contrappunto e l'eventuale politestualità, distraessero il fedele dal significato del testo sacro.
In questo contesto si pone un personaggio chiave del periodo, perfetto interprete dei dogmi della Controriforma, che costruirà un modello per la musica vocale sacra di tale autorità da sopravvivere a lungo nei secoli: Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 - 1594).
Oltre a fissare la forma della Messa come noi oggi la conosciamo, elabora uno stile di scrittura semplice, efficace e di grande suggestività, salvando la polifonia dal triste destino che la Controriforma le aveva prospettato.
Equilibra le quattro (o più) voci, alternando momenti in stile imitato a omoritmia, corrispondenti ciascuno ad una frase del testo liturgico scelto. Queste frasi si ripetono diverse volte e si susseguono in continuità l'una con l'altra, senza cadenze o interruzioni nette della melodia.
Le linee vocali sono molto semplici e lineari: si svolgono nell'ambito di una nona e procedono quasi sempre di grado congiunto, superando molto di rado il salto di terza.
Il punto fondamentale sta nell'uso delle linee melodiche, volte all'amplificazione delle immagine evocate dal testo liturgico.
Prenderò come esempio, uno dei più bei mottetti di Palestrina: Super Flumina Babylonis.
Il testo narra dell'esilio degli Ebrei, che siedono presso i fiumi a Babilonia e gemono, ricordando la patria perduta. Il dolore è tale da appendere gli strumenti agli alberi: non risuoneranno più canti o musica, ma solo il Silenzio.
Verdi musicherà lo stesso salmo circa trecento anni dopo, dando vita al celeberrimo "Va pensiero" dal Nabucco.
In questo mottetto Palestrina usa la musica per descrivere visivamente la situazione. Le entrate delle varie voci simulano l'affluenza dei corsi d'acqua nel fiume principale mentre sulla parola "Babylonis" si innalzano quasi a descrivere i profili delle torri. In corrispondenza di "sedimus" sono omoritmiche dando l'impressione dell'atto statico del sedersi.
Il verso "dum recordaremur tui Sion" appare molte volte nelle diverse voci, in stile imitato, come a descrivere un'idea che gira tra le varie persone. In corrispondenza del "suspendimus", la melodia descrive l'atto di appendere lo strumento, effettuando un movimento ascendente e poi subito discendente. Il mottetto stesso, si conclude in cadenza sospesa.
Queste sono solo alcuni degli espedienti usati dal compositore!
Provate a ritrovarli e cercarne altri durante l'ascolto di questo breve, ma intenso, capolavoro.
testo:
Super flumina Babylonis illic sedimus et flevimus, dum recordaremur tui, Sion. In salicibus in medio ejus suspendimus organa nostra.
Ionisation è una composizione di Edgard Varese (1883 - 1965) del 1929-31, ed è la prima scritta per sole percussioni. Sono previsti per l'esecuzione più di 30 strumenti, tra cui il pianoforte, usato in modo percussivo e non armonico o melodico come siamo abituati a sentirlo.
Una grande novità è la presenza delle sirene, per la prima volta inserite tra le schiere degli strumenti musicali. Sono capaci di produrre frequenze che variano in modo continuo, come un lungo glissando, per cui danno un effetto nuovo e allargano le possibilità di combinazione.
Bisognerebbe parlare per ore di questo pezzo, dell'influenza della crisi economica su di esso, della posizione specifica di ciascuno strumento e strumentista etc., ma mi limiterò a proporlo così, e vediamo cosa succede.
Il repertorio del Novecento, ha sempre bisogno di essere ascoltato con mente aperta e mettendo momentaneamente da parte tutte le regole del sistema tonale e l'idea di dissonanza che ci hanno insegnato a scuola/conservatorio e con cui siamo cresciuti. Questo è proprio quello che va fatto di fronte a brani di questo genere, ed è quello che vi chiedo.
Questa versione è eseguita dall'Ensemble InterContemporain, una associazione di musicisti fondata da Pierre Boulez (1925), in questo video nei panni di direttore. Quest'uomo è una delle grandi personalità del secolo scorso ed è, oltre che compositore, uno dei più grandi diffusori della musica contemporanea.
Il Ricercare è un genere strumentale che si sviluppa negli anni di passaggio tra 1500 e 1600.
Si tratta di una composizione di carattere contrappuntistico, una sorta di antenato della fuga, scritto spesso ancora in sistema modale, senza quindi nessuna modulazione.
Alterna diverse sezioni, di omoritmia e contrappunto, che possono cambiare anche tempo ma si pongono in continuità l'una con l'altra.
Di solito veniva eseguito su strumento a tastiera, quindi organo o clavicembalo a scelta. Non vi è infatti alcuna distinzione (a parte in Francia) tra questi due strumenti, a parte la destinazione d'uso. L'organo verrà perfezionato con l'aggiunta di manuali, registri e della pedaliera solo durante il Barocco, quindi la tecnica esecutiva per i due strumenti era la stessa. L'unica vera differenza è che si usava l'organo in ambiente liturgico, il clavicembalo in situazioni profane.
Il termine stesso è fonte di ambiguità: vengono definite Ricercare una notevole varietà di composizioni, con caratteristiche comuni ma stili molto diversi.
Proprio per sottolineare questo vorrei proporre tre diversi tipi di Ricercare, scritti nello stesso periodo.
Un Ricercare per clavicembalo di Giovanni Maria Trabaci (1575 - 1647), nella sua forma più "accademica", uno per organo del genio quasi-jazzista Girolamo Frescobaldi (1583 - 1643) e un Ricercare per fiati di Giovanni Gabrieli (1554 - 1612), nel tipico stile concertato veneziano (di cui parlerò).
Una parentesi personale. Oggi ho preso il diploma, e voglio ringraziare i miei maestri: Carlo, Federico e Daniele.
In particolare Federico, che oltre ad avermi insegnato l'arte e la scienza dell'Armonia, mi ha fatto da pianista accompagnatore (e questo significa svegliarsi alle 6 e farsi 8 ore in macchina per raggiungermi ad Adria) e da psicologo in questi ultimi giorni di paranoia prima degli esami.
In particolare, vorrei proporre questo concerto, che mi ha suonato giusto oggi in una pausa tra una prova e l'altra e che non conoscevo.
Robert Schumann (1810 - 1856) è stato un personaggio di rilievo del periodo romantico, sia come compositore che per la sua attività di critico musicale. Fonda nel 1834 la Neue Zeitschrift für Musik, una rivista che si occupa della diffusione della musica dei suoi contemporanei. In particolare, nel '53 scriverà un articolo in cui annuncerà al mondo dell'arte romantico la nascita di una nuova stella, Johannes Brahms.
Decide di diventare pianista, e concentra tutte le sue forze sull'attività concertistica, ma è costretto a smettere a causa di una paralisi a due dita della mano destra. Si dedica allora completamente alla composizione e alla letteratura.
Sposa Clara Wieck, figlia del suo maestro di pianoforte a Lipsia, grandissima virtuosa del pianoforte.
Sono anni fecondi di splendide composizioni, che verranno disturbati dal manifestarsi dei primi segni di una malattia mentale che lo porterà a tentare il suicidio gettandosi nel Reno, e alla morte in un manicomio nel 1856, assistito dalla moglie e dal sopracitato Brahms.
Questo è quindi il bellissimo concerto per pianoforte con cui mi ha deliziato il mio grande Maestro, eseguito da una pianista eccezionale: Martha Argerich.
Siamo nel primo Romanticismo, in un periodo in cui nel mondo della musica strumentale operano fior fiore di compositori: Franz Schubert, Felix Mendelssohn, Robert Schumann, Fryderyk Chopin e Franz Liszt, per dirne alcuni.
Hector Berlioz (1803 - 1869), è l'unico tra questi che opera principalmente in Francia, senza essere compreso (anche Chopin opera a Parigi, ma al contrario del povero Berlioz, è adorato da tutti). Viene accolto con calore da Mendelssohn e Schumann a Lipsia, ma non riesce a fare breccia nel cuore ballerino dei francesi, neanche con il teatro musicale.
È un grandissimo maestro di orchestrazione, e lascia degli scritti sull'argomento che gettano le basi per la moderna orchestrazione e per la disposizione ideale dei musicisti in funzione dell'acustica.
La sua formazione orchestrale prevede un gran numero di elementi e l'uso degli strumenti più disparati, ciascuno utilizzato magistralmente nel suo timbro caratteristico.
Vorrei proporvi il più celebre dei suoi brani, la Symphonie Fantastique, eseguita per la prima volta nel 1830. Non è strutturata secondo le regole della Sinfonia classica, ma è in forma di "Sinfonia a programma", un genere inventato da Liszt, che prevede una sequenza di brani, ciascuno con il proprio titolo e carattere, accomunati dallo stesso filo conduttore generato da uno stimolo extramusicale, che può essere un paesaggio, una poesia, un'immagine, un personaggio. È detta "Sinfonia a programma" proprio perché viene allegato al libretto di sala un vero e proprio programma che illustra il particolare stimolo extramusicale che ha generato il brano.
Moltissimi compositori romantici adottano questa forma (e quella del fratello "Poema Sinfonico", anch'esso generato da stimoli extramusicali, in un tempo) perché permette di esprimere liberamente la soggettività del compositore e di trasmettere le immagini caratteristiche del pensiero romantico.
Ecco quindi, la Symphonie Fantastique, e il suo programma.
« Il compositore si è posto il fine di sviluppare nella loro essenza musicale diverse situazioni della vita di un artista. La trama del dramma strumentale, privo dell'ausilio della parola, dev'essere esposta anticipatamente. Il seguente programma va dunque considerato come il testo parlato di un'opera, utile ad unire frammenti musicali di cui esso motiva il carattere e l'espressione. Berlioz prevede però che si possa non tener conto del programma, poiché la Musica basta a se stessa:
Il seguente programma dev'essere distribuito all'uditorio ogni volta che la Sinfonia Fantastica sia eseguita in forma drammatica e di conseguenza seguita dal monodramma Lelio, che termina e completa l'episodio della vita d'un artista. In tal caso, l'orchestra invisibile è disposta sulla scena d'un teatro al di là del sipario abbassato.
Se si esegue la sinfonia isolatamente in concerto, questa disposizione non è più necessaria: a rigore, è possibile anche evitare di distribuire il programma, conservando soltanto il titolo dei cinque pezzi; la sinfonia (l'autore lo spera) può garantire di per se stessa un interesse musicale indipendente da ogni intenzione drammatica.
Prima parte: Fantasticherie – Passioni
Il compositore immagina che un giovane musicista, agitato da quella infermità spirituale che un celebre scrittore denomina l'indeterminatezza delle passioni, vede per la prima volta una donna che riunisce tutto il fascino dell'essere ideale che la sua immaginazione ha vagheggiato, e se ne innamora perdutamente. Per una strana bizzarria, la cara immagine non appare alla mente dell'artista che legata a un'idea musicale, in cui egli avverte un certo carattere appassionato, ma nobile e riservato, come quello che attribuisce all'oggetto amato.
Questa immagine melodica e il suo modello lo perseguitano incessantemente come una doppia idea fissa. Ecco perché la melodia iniziale del primo Allegro ricorre costantemente in ogni movimento della sinfonia. La transizione da uno stato di sognante malinconia, interrotta da vari accessi di gioia immotivata, ad uno di passione delirante, con i suoi impulsi di rabbia e gelosia, i suoi ricorrenti momenti di tenerezza, le sue lacrime e le sue consolazioni religiose, è l'argomento del primo movimento.
Seconda parte: Un ballo
L'artista viene a trovarsi nelle più diverse circostanze della vita: nel mezzo del tumulto d'una festa, nella pacifica contemplazione delle bellezze della natura; ma ovunque, in città o in campagna, la cara immagine gli si presenta e turba la sua anima.
Terza parte: Scena campestre
Trovandosi una sera in campagna, sente in lontananza due pastori che suonano, facendosi eco, una melodia campestre; questo duetto pastorale, lo scenario naturale, il frusciare leggero degli alberi dolcemente agitati dal vento, alcuni motivi di speranza ch'egli subito concepisce, tutto concorre a restituire al suo cuore una pace inusuale e a dare ai suoi pensieri un colore più gaio. Egli riflette sul proprio isolamento, spera che presto non sarà più solo... Ma se lei lo deludesse!... Questo miscuglio di speranza e timore, questi pensieri di felicità turbati da neri presentimenti formano il soggetto dell'Adagio. Alla fine, uno dei pastori riprende la melodia campestre; l'altro non risponde più... Rumore lontano di tuono... Solitudine... Silenzio...
Quarta parte: Marcia al supplizio Avendo maturato la certezza che non solo colei ch'egli adora non corrisponde il suo amore, ma che è incapace di comprenderlo e addirittura ne è indegna, l'artista si avvelena con dell'oppio. La dose del narcotico, troppo esigua per dargli la morte, lo sprofonda in un sonno accompagnato dalle più atroci visioni. Egli sogna di aver ucciso la sua amata, di essere condannato e condotto al supplizio, di assistere alla sua stessa esecuzione. Il corteo avanza al suono di una marcia ora ombrosa e selvaggia, ora brillante e solenne, nella quale un rumore sordo di gravi passi è seguito senza transizione da scoppi di fragore eclatante. Conclusa la marcia, le prime quattro battute dell'idea fissa ricompaiono come un ultimo pensiero d'amore interrotto dal colpo fatale.
Quinta parte: Sogno di una notte di sabba Egli vede se stesso al sabba, nel mezzo di un'orda spaventosa di ombre, di stregoni, di mostri d'ogni specie, riuniti per i suoi funerali. Strani rumori, gemiti, scoppi di risa, grida lontane alle quali altre grida sembrano rispondere. La melodia amata compare ancora, ma essa ha perduto il suo carattere di nobiltà e di timidezza; ormai non è altro che un'aria di danza ignobile, triviale e grottesca: è lei che giunge al sabba... Ruggito di gioia al suo arrivo... Ella si unisce all'orgia diabolica... Campane a morto, parodia burlesca del Dies Irae, ronda del Sabba. La ronda del Sabba e il Dies Irae insieme. »
L'Ars nova è un movimento musicale che si sviluppa durante il Trecento in Italia ed in Francia, con caratteristiche diverse nei due paesi.
La parola "Ars" non indica il concetto di "arte, bensì di "tecnica", e si riferisce alla notazione ritmica. Si introduce, infatti, un nuovo metodo di misurazione dei valori delle note, detto "mensurale" (quello da cui deriva il nostro), in contrapposizione con quello antico, quello modale, che si affidava a combinazioni predefinite di sillabe lunghe e brevi.
La maggiore novità legata all'Ars nova è quella dell'introduzione dei tempi binari, a fianco dei ternari, che sono stati fino al Trecento gli unici utilizzabili perché legati al numero 3, simbolo divino.
È un periodo caratterizzato, inoltre, dalla prevalenza di repertorio profano sul sacro.
Dell'Ars nova italiana abbiamo già parlato: è caratterizzata da forme strofiche come Madrigale (del Trecento), Ballata e Caccia, a due o tre voci.
In Francia invece, dove qualche secolo prima era nata la polifonia, si sviluppano forme a più voci (tre o quattro) con struttura più complessa. Si inaugura un periodo, che continuerà nel Quattrocento, in cui la musica si riempie di simbologie numeriche, proporzioni, simmetrie e rapporti particolari (come la sezione aurea), al fine di renderla indipendente dalla parola.
Una forma particolare che si sviluppa durante il Trecento francese, è il mottetto isoritmico: si struttura la musica secondo moduli melodici (detti "Colores") e ritmici (detti "Taleae").
Un brano consiste quindi di più Colores che si ripetono tutti uguali, all'interno dei quali vi sono più Taleae. In tal modo si da alla musica un'essenza indipendente da quella del testo, che ha da sempre dominato la struttura formale e ritmica di un brano.
Ascoltiamo un brano di uno dei maggiori esponenti dell'Ars nova francese, Philippe de Vitry (1291 - 1361).
La Sonata si sviluppa principalmente in Italia, durante il periodo Barocco, ed indica inizialmente un pezzo strumentale generico. Deriva da una forma cinquecentesca chiamata "Canzona Sonata" o "Canzona da sonar", che era la trascrizione strumentale della forma vocale "Chanson".
Durante il periodo barocco si vengono a formare prevalentemente sue tipi di sonata, distinti nel nome e nell'ambito di esecuzione, ma di contenuto intercambiabile: la Sonata da Camera e la Sonata da Chiesa, per ensemble d'archi.
I nomi stessi ci indicano la differenza principale tra i due generi. Sono entrambi composti da più brani che nella Sonata da Camera derivano da tempi di danze, e ne ereditano il nome, mentre in quella da Chiesa prendono il nome dell'indicazione di tempo all'inizio dello spartito: Allegro, Adagio, Andante....fondamentalmente perché in chiesa non si balla!
Capita però di trovare esempi di Sonate da Camera che includono un Allegro che non è una danza, o di Sonate da Chiesa che si concludono con una Giga.
Entrambe le forme prevedono l'uso del basso continuo affidato all'organo per quelle da chiesa, al clavicembalo per quelle da camera.
Un'altra variante della Sonata è quella detta "a Solo", in cui la formazione prevista è quella dello strumento solista eventualmente accompagnato dal basso continuo.
Le Sonate di Domenico Scarlatti (1685 - 1757) costituiscono un caso a parte. Grazie all'isolamento geografico (ha vissuto principalmente in Spagna, lavorando come maestro di una principessa, lontano dagli stimoli italiani, tedeschi e francesi) sviluppa una forma sua peculiare, che non ha precedenti ne eredi, nasce e muore con lui.
Le sue Sonate, scritte per clavicembalo, sono in un unico tempo e bipartite, spesso anche bitematiche, sempre ritornellate. Questo tipo di struttura strizza l'occhio alla struttura classica del primo tempo di sonata, bitematico tripartito. Le sue Sonate espongono un tema nella prima parte modulando alla dominante; nella seconda parte vi è uno sviluppo del tema che attraverso ricchi giri di modulazioni torna al tono d'imposto o addirittura un secondo tema, costruito con materiale nuovo. Scrive di solito a due voci, che alternano momenti di omoritmia con parti in cui si rincorrono.
Il tutto condito da veloci scale alternate ad accordi, effetti di eco, passaggi difficili, scambio di mani, intervalli ampi e altre difficoltà legate agli strumenti a tastiera.
Vengono eseguite spesso alla chitarra: è innegabile infatti una certa influenza di questo strumento e del suo repertorio nella produzione di Scarlatti.
L'Oratorio è un genere musicale sacro non liturgico che si sviluppa a Roma nel corso del XVII secolo. Nel fervore religioso post-Controriforma, i fedeli avevano preso l'abitudine di incontrarsi presso gli oratori delle grandi cattedrali romane per pregare. I canti eseguiti in queste occasioni sono le Laudi, di solito mottetti con testo preso dalle Sacre Scritture e musica spesso "riciclata" da brani di uso popolare e destinazione profana. Questi semplici brani indipendenti diventano presto sequenze più complesse, accomunate dall'argomento trattato, fino ad arrivare ad vero e proprio racconto drammatico di vicende legate ai momenti salienti della vita di Cristo, l'Oratorio. È una forma per coro, orchestra, solisti ed un narratore, che alterna brani di vario genere: recitativi, arie, corali, pezzi strumentali e d'insieme, e che tratta appunto di vicende tratte dal Vangelo. La funzione principale dell'Oratorio è quella di educare i fedeli e allo stesso tempo di intrattenerli in modo sobrio, in contrapposizione col tipo di intrattenimento rappresentato dal teatro musicale, nato anch'esso in questo periodo. La struttura di queste due forme è infatti straordinariamente simile. Detto in parole povere, l'Oratorio non è altro che la versione sacra dell'Opera. La differenza fondamentale tra questi due generi sta, oltre che nei temi trattati, nel fatto che l'Oratorio veniva rappresentato senza scenografie e costumi, all'interno di uno spazio collegato alle grandi cattedrali romane (non in teatro!) e nei periodi del Natale e della Quaresima, quando i teatri destinati alla rappresentazione di Opere erano chiusi. Nonostante ciò, alcuni oratori come la Theodora di Händel sono stati rappresentati ai nostri giorni anche in teatro, aggiungendo costumi e scenografie. Il padre dell'Oratorio è Giacomo Carissimi (1605 - 1674). Dei 35 Oratori che ha composto, "Jephte" a 6 voci è il massimo capolavoro, delicato ed elegante, di gusto rinascimentale. Il testo è tratto dal Libro dei Giudici e narra della storia di Iefte, condottiero degli Israeliti, che, per propiziarsi la vittoria sugli Ammoniti, fa voto di sacrificare a Dio la prima persona che gli verrà incontro dopo la vittoria. Questa è, per un gioco della crudele sorte, la sua unica figlia.
È diviso in tre parti: la battaglia, la festa per la vittoria e il tragico finale, ciascuna parte con carattere musicale particolare, secondo l'uso del tempo (ricordate i madrigalismi?). La struttura è:
I. Cum vocasset in proelium
II. Cum autem victor Jephte
III. Cum vidisset Jephte
IV. Abiil ergo in montes filia Jephte
V. Plorate filii Israel
testo tradotto:
Narratore: Poiché il re dei figli di Ammon aveva sfidato in battaglia i figli di Israele e non aveva voluto prestar fede alle parole di Iefte, lo Spirito del Signore si posò su Iefte e, dopo aver marciato contro i figli di Ammon, fece un voto al Signore dicendo:
Iefte: Se il Signore avrà consegnato nelle mie mani i figli di Ammon, chiunque mi verrà incontro per primo uscendo dalla mia casa, offrirò lui al Signore in olocausto.
Narratore: Si mosse dunque Iefte contro i figli di Ammon, per combattere con la forza dello Spirito e la potenza del Signore contro di essi; e squillavano le trombe, e risuonavano i timpani, e la battaglia fu ingaggiata contro Ammon.
Basso: Fuggite, ritiratevi, empi, perite, genti; soccombete con la spada in mano, il Signore degli eserciti si è levato in battaglia e combatte contro di voi.
Coro: Fuggite, ritiratevi, empi, andate in rovina e nel furore delle armi siate dispersi.
Soprano: E Iefte colpì venti città di Ammon con un colpo troppo forte.
Coro: E in mezzo agli ululati i figli di Ammon furono umiliati davanti ai figli di Israele.
Narratore: Mentre però Iefte ritornava vincitore nella sua casa, correndogli incontro la sua figlia unigenita cantava con timpani e danze:
Figlia di Iefte: Inneggiate con i timpani
e salmodiate sui cembali, un inno cantiamo al Signore e mettiamo in musica un cantico. Lodiamo il Re celeste,
lodiamo il Principe della guerra, che ha reso vincitore il condottiero dei figli di Israele.
Compagne: Cantiamo un inno al Signore
e mettiamo in musica un cantico per Lui, che ha dato a noi la gloria e a Israele la vittoria.
Figlia di Iefte: Cantate con me al Signore, cantate popoli tutti, lodate il Principe della guerra, che ha dato a noi la gloria e a Israele la vittoria.
Compagne: Cantiamo tutte al Signore, cantate popoli tutti, lodiamo il Principe della guerra, che ha dato a noi la gloria e a Israele la vittoria.
Narratore: Quando Iefte, che aveva fatto il voto al Signore, vide sua figlia che gli veniva incontro, per il dolore e le lacrime si stracciò le vesti e disse:
Iefte: Ahimè, figlia mia! Ahimè, m'hai tratto in inganno, figlia unigenita; anche tu parimenti, ahimè, figlia mia, sei stata ingannata.
Figlia di Iefte: Perché io te, padre, ho tratto in inganno, e perché io, figlia tua unigenita, sono stata ingannata?
Iefte: Ho fatto la mia promessa solenne al Signore che chiunque mi fosse venuto incontro per primo uscendo dalla mia casa, avrei offerto lui al Signore in olocausto. Ahimè, mi hai tratto in inganno, figlia unigenita; anche tu parimenti, ahimè, figlia mia, sei stata ingannata.
Figlia di Iefte: Padre mio, se hai fatto un voto al Signore, ritornato vincitore dei nemici, ecco sono la tua figlia unigenita: offri me in olocausto per la tua vittoria. Questo solamente, padre mio, concedi alla tua figlia unigenita prima che io muoia...
Iefte: Che cosa potrà consolare la tua anima, che cosa potrà consolare te, figlia destinata alla morte?
Figlia di Iefte: Lasciami andare, affinché per due mesi io me ne vada in giro per i monti, affinché con le mie compagne pianga la mia verginità.
Iefte: Va' figlia, va' figlia mia unigenita, e piangi la tua verginità.
Narratore: Andò via allora sui monti la figlia di Iefte e piangeva con le compagne la sua verginità, dicendo:
Figlia di Iefte: Piangete colli, piangete monti, e per l'afflizione del mio cuore ululate.
Eco: Ululate.
Figlia di Iefte: Ecco, morirò vergine e non potrò per la mia morte esser consolata dai miei figli. Gemete selve, fonti e fiumi, lacrimate per la morte d'una vergine.
Eco: Lacrimate.
Figlia di Iefte: Ahimè, quale sofferenza insieme alla letizia del popolo, alla vittoria di Israele e alla gloria di mio padre; io vergine senza figli, io figlia unigenita morirò e non vivrò! Inorridite rupi, stupite colli, valli e caverne di orribile suono riecheggiate.
Eco: Riecheggiate.
Figlia di Iefte: Piangete, figli di Israele, piangete la mia verginità, e per la figlia di Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.
Coro: Piangete, figli di Israele, piangete vergini tutte, e per la figlia di Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.
Intorno a metà Settecento, in un periodo detto Rococò o dello Stile Galante (il momento di passaggio da Barocco a Classicismo), si sviluppano le caratteristiche stilistiche e formali dell'Età classica.
La Sinfonia, il Concerto, la Sonata e il Quartetto vengono definite in questo periodo.
Il periodo classico è caratterizzato, oltre che dalla "scoperta" delle qualità timbriche e tecniche del pianoforte, nato ad inizio Settecento ma snobbato dai grandi maestri del Barocco, soprattutto da un riavvicinamento formale dei generi strumentali. Questo significa che, mentre nel periodo precedente vi era una forma per ogni genere (il Concerto Grosso ha una struttura diversa dalla Suite, o dalla Cantata etc), in età classica ogni forma ha (più o meno) la stessa struttura.
Quartetto, Sinfonia, Concerto e Sonata sono tutte quindi in tre o quattro tempi, in ordine: un Allegro in forma-sonata (la firma del periodo classico, si cui ho già parlato), un Adagio in forma ABA, un Minuetto con Trio e da capo (assente nel Concerto) e un Allegro finale, in rondò o forma-sonata o rondò-sonata (che è un rondò con due temi: ABACABA con A e B temi e C sviluppo).
Il Quartetto, in particolare, è per formazione di archi: due violini, una viola ed un violoncello, e deriva dalla Sonata a tre barocca, per archi e basso continuo.
Il merito di aver sviluppato questa forma è in particolare di due grandi Maestri: Luigi Boccherini (1743 - 1805) e Franz Joseph Haydn (1732 - 1809), che hanno equilibrato le quattro voci, liberandole dall'egemonia del primo violino. Haydn, in particolare, sviluppa i rapporti tra gli strumenti inventando uno stile che Goethe definirà "di conversazione": l'ascolto dei suoi quartetti sembra infatti " una conversazione tra quattro persone ragionevoli".
Ho scelto il quartetto op. 76 n° 2, detto "Quinte" perché inizia proprio con delle quinte perfette discendenti.
La struttura è quella classica del Quartetto:
I. Allegro
II. Andante o più tosto allegretto
III. Minuetto. Allegro ma non troppo
IV. Vivace assai
Il primo e quarto movimento sono in forma-sonata, il secondo è tripartito. Il terzo, che è il più interessante dei quattro, è un Minuetto con Trio. Il Minuetto è detto "Minuetto delle streghe" ed è un canone a due voci, in cui il violoncello e la viola eseguono ad ottava lo stesso tema proposto dai due violini (sempre ad ottava) con una battuta di ritardo. Bellissimo!
Abbiamo già parlato del Madrigale del Cinquecento, la forma profana più matura del tardo Rinascimento, con un esempio tra i primi, di Verdelot.
Quello di oggi è, invece, uno tra i più "evoluti". Fa larghissimo uso di quegli artifici detti "madrigalismi" (a cui avevo accennato) la cui funzione è quella di evocare, attraverso la musica, delle immagini atte a descrivere o amplificare il significato del testo cantato.
Il brano alterna parti in stile omoritmico ed in stile imitato, tratto tipico del Madrigale cinquecentesco, e fa largo uso di cromatismi, caratteristica peculiare dell'autore, Carlo Gesualdo da Venosa (1566 - 1613).
testo:
Itene o miei sospiri
Precipitate il volo
A lei che m'è cagion d'aspri martiti
Ditele per pietà del mio gran duolo
Ch'ormai ella mi sia
Come bella ancor pia
Che l'amaro pianto
Cangerò lieto in amoroso canto
Nella prima frase "Itene o miei sospiri", è da notare il madrigalismo che spezzando con le pause la melodia sulla parola "sospiri" mima proprio l'azione espressa dal testo.
Con la seconda frase inizia una sezione in stile imitato, caratterizzata da salti discendenti, che vanno dal soprano al basso e che quindi scendono anche di registro, che amplificano il significato di "precipitate", e da leggere scale svolazzanti che rappresentano, appunto, il "volo".
Nella terza frase, l'invocazione "a lei" è ricca di pathos grazie al sapiente uso del cromatismo, che viene usato ricorrentemente in tutta la sezione in cui il testo parla del dolore.
L'atmosfera cambia completamente con la parola "cangerò": in corrispondenza di questa, infatti, cambia il tempo e inizia un'altra sezione in stile imitato, che conclude il brano con un luminoso accordo maggiore.
Potete apprezzare tutte queste chicche grazie al video che ho trovato su YouTube, che mostra lo spartito di pari passo con la musica.
La Suite barocca è una forma strumentale che si sviluppa durante il XVII secolo.
È una sequenza di brani, di diverso carattere, che condividono solo la tonalità ed il fatto di essere derivati da danze. Delle danze, è rimasto loro solo il nome. Deriva dalla pratica, durante i balli di corte del Cinquecento, di accoppiare brani di carattere e tempo diverso (si trovano più spesso le combinazioni Pavana-Gagliarda e Passamezzo-Saltarello).
Inizialmente il tipo e il numero di brani, all'interno di una stessa Suite, era molto variabile. Col tempo va stabilizzandosi una forma fissa, ma sempre molto flessibile, che prevede un nucleo di quattro danze, ognuna riportante delle caratteristiche tipiche di una particolare zona d'Europa:
- l'Allemanda, di origine tedesca, in quattro quarti e in tempo moderato;
- la Corrente, di origine francese, in tempo ternario mosso;
- la Sarabanda, di origine iberica, in tempo binario o ternario lento;
- la Giga, di origine irlandese o italiana, in tempo composto, veloce.
Questa struttura può essere variata sostituendo o inserendo altri tipi di danza. Il Minuetto (origine francese, inventato da Giovan Battista Lulli), il Passepied, la Gavotta, la Siciliana, la Bourrée, sono alcuni esempi di danze che si possono trovare inseriti tra la Sarabanda e la Giga. La Passacaglia e la Ciaccona si trovano invece, se presenti, come ultimo brano.
Si può trovare, come primo brano, un Preludio o una forma simile (presente spesso nelle Suites di Bach).
Un perfetto esempio di Suite, con struttura canonica, è quella che vorrei proporvi, composta da Georg Friedrich Händel (1785 - 1659).
E a proposito di jazzisti, ho scelto l'interpretazione del grandissimo Keith Jarrett, al pianoforte anziché al clavicembalo, strumento per il quale sono state scritte originariamente queste Suites. Ma la sua interpretazione è bellissima, ed il pianoforte risulta estremamente più godibile, al nostro orecchio, del suo antico collega clavicembalo.
Il Concerto Barocco è una forma strumentale sviluppatisi in Italia attorno ai primi anni del XVIII secolo. È una composizione imperniata totalmente sul contrasto: alterna sezioni in cui suona tutto l'organico (detto Tutti o Concerto Grosso) a parti in cui suona solo una piccola parte degli strumentisti (Concertino) o uno unico (Solo). È quindi caratterizzato dall'opposizione tutti-pochi, forte-piano.
È una forma in 3 tempi, in alternanza veloce-lento-veloce, in cui il contrasto è presente solo nelle sezioni veloci (quindi il primo e terzo tempo). Nel secondo tempo, il Concertino o il Solo suona accompagnato unicamente dal basso continuo, eseguito da uno strumento a tastiera (l'organo, se si tratta di un concerto da chiesa, dal clavicembalo se da camera).
Da questa forma si sono poi sviluppate con struttura simile, ma caratteri diversi, il Concerto Grosso, in cui le sezioni di Tutti sono alternate dall'intervento del Concertino, e il Concerto Solistico, in cui invece interviene il Solo.
La differenza fondamentale tra Concerto Grosso e Solistico, oltre alla presenza o meno del Solo, è che nel primo il Concertino tende ad integrarsi con il Tutti, mentre nel secondo il Solo si pone in totale contrasto.
Il Concerto Grosso nasce a Roma, grazie all'opera di Alessandro Stradella (1639 - 1682) e in seguito di Arcangelo Corelli (1653 - 1713). Il Concerto Solistico, invece, nasce prima a Bologna, con Giuseppe Torelli (1658 - 1709) e si sviluppa a Venezia, con Antonio Vivaldi (1678 - 1741).
La fama di questi due nuovi generi si diffonde in tutta Europa, soprattutto in Germania, e i Concerti italiani diventano il modello di riferimento per i grandi maestri tedeschi.
Per fare un paio di esempi, Georg Friedrich Händel (1685 - 1759), che viene a contatto con queste forme durante il suo soggiorno a Roma nel 1707, e Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) che scrive i suoi 6 Concerti Brandeburghesi in forma di Concerto Grosso.
Quest'ultimo in particolare, studiò moltissimo la forma del Concerto Solistico di Vivaldi, e fu tra i primi ad introdurre come solista il clavicembalo.
La struttura dei movimenti veloci del modello di Vivaldi prevedeva quattro parti di Tutti dette Ritornello, fatte della stessa materia musicale, intervallate da tre parti di Solo, cui avveniva una modulazione.
Uno schema tipico per le tonalità maggiori è:
- Ritornello 1, nel tono d'imposto;
- Solo 1, che modula dal tono d'imposto alla dominante (il V grado);
- Ritornello 2, alla dominante;
- Solo 2, che modula dalla dominante alla relativa minore;
- Ritornello 3, alla relativa minore;
- Solo 3, che modula dalla relativa minore al tono d'imposto;
- Ritornello 4, al tono d'imposto.
Per le tonalità minori, si inverte Ritornello 2 e Solo 2 con Ritornello 3 e Solo 3, e si modula alla relativa maggiore invece che alla minore (ovviamente).
Lo schema del secondo movimento era invece più libero, e prevedeva unicamente l'intervento del Solo accompagnato dal basso continuo.
Vivaldi ha scritto più di 450 concerti, per i quali è ricordato, oltre a diverse opere, sinfonie, messe e sonate.
Vorrei proporre i primi quattro concerti dalla sua raccolta "Il cimento dell'armonia e dell'inventione" per violino, archi e basso continuo del 1725.
Sono celeberrimi e li riconoscerete all'istante, ma vi invito ad ascoltarli con orecchie nuove, ora che sapete realmente cosa sono, e provare ad apprezzarli nella loro forma come se non li aveste mai sentiti.
Omaggiamo il Genio, nel giorno del suo compleanno, con il quintetto per clarinetto ed archi K581.
Mozart sa decisamente scrivere per i fiati: le sue frasi sono bellissime e semplici, e mai troppo lunghe (cosa fondamentale, se non si vuole essere costretti a spezzare una frase, o finire soffocati).
Il clarinetto, in particolare, era stato inventato da poco, quando questo pezzo è stato scritto. Il Genio ha intuito subito le sue potenzialità, componendo un quintetto in 4 tempi in cui il caldo suono del legno si mescola perfettamente al timbro del quartetto d'archi. Le parti sono equilibrate e l'atmosfera è serena e rilassata. L'esatto contrario di quanto stava accadendo in quel momento al compositore (1789: siamo negli ultimi anni della sua vita, che si concluderà nel 1791), che versava in condizione economiche disperate.
L'anno della sua morte, scriverà un altro pezzo dedicato a questo "neonato" strumento a fiato, il concerto per clarinetto ed orchestra K 622, che è uno dei più belli del repertorio. Entrambe le composizioni sono scritte in La maggiore, considerata da Mozart la tonalità della luce, e condividono alcuni passaggi e frammenti: i primi movimenti di entrambi iniziano con lo stesso salto di terza discendente, ed i movimenti lenti iniziano entrambi con lo stesso salto di quarta ascendente, per dirne alcuni.
Le citazioni di Mozart a se stesso sono in realtà piuttosto frequenti (ed è un fatto che caratterizza la maggior parte dei compositori della storia). Per fare un esempio, anche il concerto per pianoforte ed orchestra KV 488 è in La maggiore ed inizia con lo stesso intervallo di terza discendente di questo quintetto e del concerto K 622.
Anche se siamo in pieno inverno, mi sembra il giorno perfetto.
È una ballata del Trecento, il periodo in cui in Europa fioriva la cosiddetta "Ars Nova", francese ed italiana. È un momento caratterizzato da una forte produzione di musica profana piuttosto che sacra.
In Francia, nelle cui grandi cattedrali si era sviluppata la polifonia sacra, si manifesta attraverso la composizione di mottetti a 3 o 4 voci in cui la musica è scorrelata dal testo, con una struttura a moduli ritmici e melodici che si ripetono. In Italia, invece, nel brodo culturale caratterizzato dal Dolce Stil Novo e dalle pitture di Giotto, si sviluppano canti profani molto più semplici come il Madrigale (del Trecento), la Caccia e la Ballata.
La polifonia in Italia arriva tardivamente, rispetto alla Francia dove era nata, quindi le composizioni italiane superano di rado le 2 voci. In particolare la Ballata, la forma più matura dell'Ars Nova italiana, era di solito composta da una quartina, la Ripresa, due coppie di versi con musica diversa, i Piedi, una Volta con stessa musica e stesso schema metrico della prima quartina, ed una ripetizione della Ripresa.
Ed è proprio una ballata, quella che volevo proporre, che segue esattamente questo schema. L'autore, Francesco Landini (1325 - 1397), è il massimo esponente dell'Ars Nova italiana.
testo:
Ecco la Primavera
che 'l cor fa rallegrare.
Temp'è d'innamorare e star con lieta cera. Noi veggiam l'aria e 'l tempo che pur chiam' allegrezza.
L'invenzione della scrittura musicale nasce nell'ambito della musica sacra nei secoli successivi al IX. Fino a quegli anni, infatti, in Europa vi erano una moltitudine di tradizioni liturgiche diverse, che condividevano la matrice ebraica. I primi cristiani, che erano ebrei convertiti, si erano infatti sparsi in tutta Europa in seguito alla conquista e saccheggio di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d.C., fondendo le loro tradizioni liturgiche con quelle autoctone e creando così, un mosaico di tradizioni diverse.
Con l'alleanza del papato con la dinastia carolingia, si rende necessaria una unificazione del rito su tutto il territorio di influenza. Il nuovo repertorio unificato viene, secondo la leggenda, compilato da papa Gregorio Magno, sotto diretta dettatura dello Spirito Santo. La realtà dei fatti è ovviamente molto diversa: la figura di Gregorio è stata usata più che altro per rendere divina e indiscutibile l'unificazione. Sappiamo infatti, che parte del repertorio è stata definita dopo la morte del pontefice.
Il canto liturgico diventa, come la Bibbia, patrimonio che deve essere tramandato fedelmente.
Scompare così la componente improvvisativa che ha caratterizzato i canti fino a quel momento, e i cantori si trovano costretti ad imparare a memoria tutto il repertorio (nelle Scholae Cantorum, il ciclo di studi durava in media 10 anni!). Così si prende l'abitudine, in modo originale in ogni centro monastico, di scrivere dei segni, detti Neumi, sopra alle sillabe da cantare (come aiuto mnemonico).
I primi canti ad essere corredati di neumi sono quelli di più rara esecuzione. Ma presto si passa a segnarli su tutto il repertorio, in modo sempre più particolareggiato. Tanto da arrivare a riempire completamente gli spazi tra una riga e l'altra di testo e addirittura sforare nel margine destro.
Il passo successivo viene fatto dai monaci copisti, che per permettere ai cantori di segnarsi i propri neumi, prendono l'abitudine, nella copiatura di un libro, di lasciare una linea vuota tra ogni riga di testo.
La linea a secco tirata dal copista e lasciata ai cantori diventa così il primo riferimento per indicare l'altezza relativa delle note di un canto.
È qui che entra in gioco l'operato di Guido d'Arezzo (991 - 1033), monaco e trattatista (il primo nella storia che si occupa di problematiche legate alla pratica musicale, piuttosto che alla teoria), che propone in un suo testo l'uso di una notazione musicale unica che verrà adottata universalmente dal XI secolo in poi.
Egli introduce l'uso del tetragramma, un sistema di quattro righe parallele in cui poter indicare l'altezza relativa delle note di un canto. Per determinarne, invece, l'altezza assoluta, il monaco propone due soluzioni: quella di colorare le due righe corrispondenti al fa (rosso) e al do (giallo), in modo da poter individuare velocemente il semitono, e quella di porre una chiave in corrispondenza di un rigo, che identifichi una particolare nota. Da questo secondo metodo, si sono sviluppate le moderne chiavi musicali, che usiamo tutt'ora.
L'evoluzione delle chiavi musicali e il tetragramma
Guido d'Arezzo introduce anche altre innovazioni, volte ad aiutare i cantori nell'imparare il repertorio, tra cui il sistema mnemotecnico della cosiddetta Mano Guidoniana ed un metodo per la lettura a prima vista da cui derivano i nomi delle note che usiamo anche adesso, detto Solmisazione. Questo utilizza le prime sillabe e le rispettive note dell'inno a San Giovanni "Ut queant laxis", che era perfettamente noto ad ogni cantore (San Giovanni era il loro protettore), ottenendo una scala ascendente di sei suoni (il settimo, si da Sancte Ioannes, verrà introdotto successivamente). Il nome della prima nota, ut, viene trasformato nel nostro do nei secoli successivi, a causa della poca cantabilità.
Così nascono i nomi delle note, le chiavi e la notazione musicale delle altezze. Per quando riguarda la notazione ritmica, bisogna aspettare ancora un secolo. Il ritmo era infatti dettato dalla musicalità intrinseca della lingua latina.
Igor Stravinskij (1882 - 1971) scrive questa perla per la compagnia di balletti russi diretta da Sergeij Diaghilev, un genio visionario, con la collaborazione del pittore e scenografo Nikolaj Roerich. La coreografia originale, riproposta nella versione che ho trovato su YouTube della rappresentazione in occasione del centenario della prima esecuzione (1913), è di Nijinskij, uno dei ballerini più dotati della storia, genio visionario come Diaghilev (e suo amante).
Con questo balletto, Stravinskij rappresenta un grande rito sacro di una antica civiltà russa in cui si propizia l'arrivo della primavera attraverso un sacrificio umano. Una ragazza verrà scelta per danzare fino alla morte.
Una visione trasgressiva e violenta, per niente affine all'universo ottocentesco delle emozioni romantiche.
Ogni parte di questo balletto richiama forze selvagge e primordiali e sconvolge tutti i canoni della bellezza: i ballerini assumono posture grottesche (si noti in particolare la posizione dei piedi e l'effetto "gobba") e si dimenano come morsi da un serpente velenoso. I costumi sono tuniche, in contrapposizione con l'abbigliamento da danza accademico e la musica è ruvida, l'armonia primitiva. Regna incontrastato il ritmo, che è la spina dorsale dell'intero balletto.
I timbri degli strumenti sono irriconoscibili e sembrano provenire da una dimensione lontana, effetto ottenuto costringendo i fiati a suonare in tessiture a dir poco imbarazzanti (il pezzo si apre con il fagotto che suona nel registro sovra-sovra-sovracuto). La composizione è inoltre costellata di frammenti di musiche popolari, funzionali alla resa di un'atmosfera tribale.
Ovviamente la prima fu un fiasco clamoroso, con tanto di spettatori urlanti e fuga di Stravinskij dopo le prime note dell'ouverture. La sua musica però, col tempo, diventò così apprezzata da essere eseguita indipendentemente, come fosse composizione autonoma.
Ad una mente aperta ed attenta, non sfuggirà la cruda bellezza e la genialità assoluta di questo balletto, anche a distanza di cent'anni (più uno) dalla prima esecuzione.
Felix Mendelssohn (1809 - 1847) nasce in una famiglia più che benestante e di grande cultura (suo nonno è il filosofo Moses Mendelssohn). Vive gli anni della formazione in un ambiente pieno di stimoli (la casa dei Mendelssohn, a Berlino, era frequentata dai più grandi musicisti, filosofi e letterati del tempo) che contribuiscono a far sbocciare il grande talento in campo musicale di cui erano dotati sia lui che la sorella Fanny, un punto di riferimento costante della vita di Mendelssohn.
Fin da giovanissimo, riesce ad affermarsi come esecutore, compositore e direttore d'orchestra. Uno dei suoi più grandi meriti, fu quello di riproporre ai contemporanei la grande musica del passato: pietra miliare della storia della musica è la sua esecuzione del 1829 di una versione ridotta e rivista della Matthäuspassion BWV 244 (Passione secondo Matteo) di Bach, che non veniva eseguita da circa un secolo.
La spensieratezza della sua vita si riflette nella sua stessa musica: le sue composizioni sono sempre piene di serenità, tranquillità e pace, con la grande eccezione del quartetto op. 80, scritto in occasione della morte dell'amata sorella ed ultima grande composizione da lui scritta prima di morire, in cui appare a tratti per la prima volta un sentimento malinconico e doloroso.
La felicità della sua condizione, soprattutto economica, si percepisce chiaramente nelle sue musiche: si sente proprio che non aveva nessun tipo di preoccupazione!
La ricchezza della sua famiglia gli permette inoltre di viaggiare molto. E proprio in seguito a due di questi viaggi, scrive la sinfonia n°3 - Scozzese (in seguito ovviamente ad un viaggio in Scozia) e la n°4 - Italiana (in seguito ad un viaggio in Italia). Anche se sono state da lui stesso rimaneggiate più volte nel corso degli anni (soprattutto l'Italiana, mai pubblicata durante la sua vita perché oggetto di continue correzioni), il cuore di queste sinfonie è rimasto intatto ed è fedele rappresentazione dell'atmosfera dei due luoghi oggetto dei viaggi.
La prima volta che le ho ascoltate le ho sentite consecutivamente e sono rimasta stupita dal netto cambiamento di atmosfera tra la fine della Scozzese e l'inizio dell'Italiana.
Per questo, vorrei proporre proprio l'ultimo movimento della n°3 ed il primo della n°4 in successione, come le ascoltai io per la prima volta, per mettere in evidenza l'incredibile sensibilità e talento di Mendelssohn, che è riuscito a dipingere in musica due caratteri così diversi in modo così efficace (ovviamente siete caldamente invitati a sentire tutti e quattro i movimenti di entrambe, dei capolavori).
Dalla fine della Scozzese, in cui veramente ci si sente come una sorta di Braveheart in kilt nelle Highlands, l'inizio dell'Italiana ti catapulta nelle corti sette-ottocentesche, ballando vestito di tutto punto dentro un palazzo dall'architettura elegante.
XVII secolo: l'Europa sta sperimentando la febbre dell'Opera, nata in Italia ad inizio secolo. La Francia è l'unica eccezione, in cui l'accoglienza è molto più tiepida. Mentre le altre nazioni assorbono e fanno propria la forma di teatro musicale italiano, in territorio francese si fatica ad accettare un tipo di spettacolo che ponga tale importanza alla musica ed al canto, piuttosto che al ballo, come invece era uso nazionale. Dell'Opera italiana, i francesi apprezzano più che altro la componente visiva delle grandi scenografie ed effetti speciali possibili grazie all'uso di macchine teatrali, la spettacolarità dei costumi ed i frequenti cambi di scena. È necessario l'operato di Giovanni Battista Lulli (1632 - 1687), un fiorentino impiantato alla corte di Parigi, che sviluppa il teatro musicale francese fondendo lo stile italiano con la tradizione del balletto (che si è radicata in Francia, ma è stata anch'essa inventata da un italiano. Che ironia!).
Alla corte di Luigi XIV, dove Lulli prestava servizio, gli spettacoli di musica e ballo, con il loro sfarzo e la loro magnificenza, erano più di ogni altra cosa un fortissimo strumento di potere.
Emblematico è il "Ballet de la Nuit", rappresentato nel 1653 quando ancora Luigi XIV non era sul trono, danzato da lui stesso. La storia narra del Sole, che si impone sulla notte, portatore di virtù e valori tra i più alti. Facendo interpretare la parte dell'astro al futuro giovane re, si trasmette un messaggio di potere assoluto.
Vi propongo un frammento dal film "Le Roi danse", in cui si ricostruisce la scena del balletto. Ovviamente, essendo un film, va preso con le dovute accortezze. Nonostante ciò, ritengo che renda bene l'idea della funzione della musica di Lulli, alla corte di Parigi.
Una delle più belle sinfonie mai scritte, perfetta nella sua incompiutezza, eseguita da una delle migliori orchestre al mondo, diretta da uno dei più grandi direttori di tutti i tempi. Il più grande, secondo me.
Oggi un'aria carinissima, una perla, dall'Anna Bolena di Gaetano Donizetti (1797 - 1848).
È un'aria che fa parte del mio repertorio di "canti da doccia".
Siamo all'inizio dell'opera, Anna è turbata perché sa che suo marito Enrico, è innamorato di un'altra donna. Scambia qualche parola con la sua ancella Giovanna, che è turbata a sua volta, perché è proprio lei la nuova favorita del re e teme che la regina possa aver scoperto qualcosa.
Arriva il momento in cui Anna chiede a Smeton, un paggio, di cantarle qualcosa per rallegrarla. Il paggio, che è segretamente innamorato della regina, canta quest'aria dolcissima e piena di sentimento, che verrà interrotta da Anna, sopraffatta dai ricordi del passato.
I protagonisti delle opere di Donizetti sono spesso donne-eroine, destinate ad una morte violenta o alla pazzia. Per una sorta di legge del contrappasso, a causare la morte di uno dei maggiori compositori del melodramma, che aprirà la strada alla grandezza di Verdi, sarà proprio una malattia mentale.
testo dell'aria:
Deh! Non voler costringere
a finta gioia il viso:
bella è la tua mestizia,
siccome il tuo sorriso.
Cinta di nubi ancora
bella è così l'aurora,
la luna malinconica
bella è nel suo pallor.
Chi pensierosa e tacita starti così ti mira, ti crede
ingenua vergine che il primo amor sospira: ed obliato il serto
onde è il tuo crin coperto, teco sospira, e sembragli esser quel
Ho aspettato questa occasione per introdurre il compositore che amo più di tutti nella storia della musica: Johannes Brahms (1833 - 1897). La sua musica mi attraversa, e mette in risonanza ogni fibra del mio corpo.
Il suo talento su scoperto e diffuso da Robert Schumann (1810 - 1856) e dalla moglie Clara, che diventerà sua grandissima amica e confidente fino alla morte (muoiono a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro).
Si pone in continuità con la tradizione classica, tanto da essere indicato come il successore di Beethoven. La Prima sinfonia di Brahms, infatti, è stata definita dal grande direttore d'orchestra Hans von Bülow come la Decima di Beethoven.
Nonostante utilizzi le forme classiche per le sue composizioni, non risulta mai desueto o antimoderno. Lavorando su di esse, le sviluppa dall'interno, arricchendole col suo spirito profondamente romantico.
Le sue composizioni sono frutto di lungo lavoro (impiegava anni alla ricerca della perfezione, prima di completare un'opera) e sono molto intime (ricordiamoci che nello stesso periodo Wagner sviluppava le sue opere titaniche e super-io-istiche, per coniare un neologismo).
Le sue melodie scorrono fluide e riflessive, l'armonia è ricca di colori ed in continua evoluzione.
Vi sono dei passaggi di tale dolcezza poetica da rendere difficile credere che provengano da quel signore sempre corrucciato e barbuto delle fotografie che lo immortalano.
E dopo tanti anni che lo tengo come un santino sulla mia scrivania, rimango ancora affascinata dalle espressioni incredibili dell'interiorità di questo signore, che all'aspetto non fa trapelare niente, e che invece si espone così tanto attraverso la sua musica.
Ho scelto questo brano, waltz numero 15 da una raccolta di sedici, perché semplice, dolce e sereno.
Lo dedico a tutti quelli che, vicini o lontani, mi sono accanto in questo momento di passaggio, nel quale raggiungo il traguardo del primo quarto di secolo.
Il Corale è una forma vocale nata durante il XVI secolo (quindi non durante il periodo Barocco come comunemente si pensa!) e sviluppatisi principalmente nell'ambito dei riti di confessione protestante (infatti è in lingua tedesca e non in latino).
Lutero stesso, grande conoscitore del repertorio sacro del tempo, compose la musica di alcuni corali. Questi erano un punto cardine del culto, in quanto erano la forma in cui l'assemblea di fedeli partecipava alla liturgia. Per questo hanno melodie molto semplici, procedono omoritmicamente per frasi e sono -relativamente- facili da cantare. A quattro voci, è originariamente pensato come composizione esclusivamente a cappella, anche se nei secoli successivi, soprattutto nel periodo Barocco e ad opera di Johann Sebastian Bach (1685 - 1750), si diffonde la pratica di armonizzare per strumenti un corale preesistente e utilizzare quanto ottenuto all'interno di opere più vaste o di diversa natura. Bach ha prodotto un numero tale di armonizzazioni (ve ne sono diverse per ciascun Corale!) e adattamenti da essere immediatamente collegato al genere, quasi ne fosse l'inventore. La verità è che molti dei temi all'interno dei suoi Corali, sono opera di altri. Innegabile è, però, il valore artistico di questi arrangiamenti.
Come esempio, riporto il Corale "Aus meines Herzens Grunde" in due versioni: quella che è andata a far parte della "Johannespassion" (Passione secondo Giovanni) BWV 245, ed una versione figurata (con fioriture, note di passaggio, ritardi...una versione più elaborata ed abbellita) BWV 269.
Il Corale originale, di N. Herrmann, non si trova su YouTube.
La versione figurata è la prima di una serie di circa un'ora di Corali: io non riuscirei ad ascoltarli tutti, ma so che alcuni miei lettori (due nomi a caso.....Cosimo e Francesco) apprezzeranno molto.
Il Madrigale del Cinquecento è il mostro sacro del Rinascimento. Nasce dalle forme profane popolari strofiche come la Frottola, senza ereditarne la struttura, ed è influenzato dal Mottetto.
È una composizione vocale di solito a 5 - 6 voci equilibrate, che alterna sezioni in stile omoritmico (in cui tutte le voci procedono simultaneamente con lo stesso ritmo) e in stile contrappuntistico.
La caratteristica fondamentale è lo stretto rapporto tra testo e musica: quest'ultima è pensata per amplificare e trasmettere le immagini poetiche del testo. A fine secolo saranno sviluppati degli artifici, detti "madrigalismi", con lo scopo di rendere ancora di più il significato del testo (non ci sono, nel madrigale che ho scelto. Questo perché ne ho preso uno tra i primi, in cui i madrigalismi non erano ancora in uso).
Questo tipo di repertorio veniva principalmente eseguito "a tavolino" dai membri dei ceti sociali più alti, tutti abili musicisti. La musica svolgeva infatti un ruolo centrale nell'educazione dei giovani nobili, alcuni dei quali arrivavano addirittura ad eccellere a livello, come diremmo noi oggi, professionale. Questi si incontravano nell'intimità dei loro palazzi per far musica ed eseguire queste piccole perle, nel duplice ruolo di artisti e spettatori.
Nella prassi esecutiva capitava spesso che strumenti affiancassero le voci o le sostituissero addirittura, cantando solo la linea vocale superiore.
Ho scelto un madrigale di Philippe Verdelot (1475 - 1552), un compositore francese che trascorse tutta la sua vita in Italia e che è considerato uno dei padri del Madrigale cinquecentesco. Per confronto, riporto sia la versione completamente vocale, che quella con voce e strumenti.
testo:
Ultimi miei sospiri
che mi lasciate fredd'e senza vita
Contate i miei martiri.
Ai chi morì mi vede e non m'aita,
dite, o beltà infinita,
dal tuo fedel ne caccia empio martire.
Et se questo gli è grato, gitene rat'in ciel a miglior stato,
Vorrei parlare, stasera, di un'aria a me molto cara: "Schnelle Füβe, rascher Mut" da "Die Zauberflöte" (il Flauto Magico) di Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791) [....e chi poteva essere il Genio, se non lui?].
L'opera appartiene al genere del Singspiel, una forma operistica che si è sviluppata in area austro-tedesca, in lingua, appunto tedesca. I temi sono di solito di genere favolistico. La grande differenza col teatro italiano è che in questo genere i recitativi sono recitati e non cantati.
La trama del Flauto Magico, se letta ad un livello superficiale, sembra una favola per bambini: vi sono oggetti magici, poteri straordinari, apparizioni di animali e cori di spiriti. È la storia di un ragazzo giovane ed ingenuo che diventa uomo acquistando saggezza grazie alla scoperta dell'amore e al superamento di varie prove.
L'intera opera è in realtà piena di simbologie e significati profondi, che vanno da ideali illuministi a riferimenti alla massoneria, rendendola estremamente ricca e profonda.
E tutto questo, non dimentichiamocelo, è messo in musica dal Genio di Mozart, con incredibile grazia ed eleganza, semplicità ed espressività.
In questa scena Papageno, l'uccellatore, e Pamina, la figlia della Regina della Notte, stanno cercando il principe Tamino quando vengono trovati da Monostatos, il servo di Sarastro, il Sacerdote del Regno della Saggezza. Il servo, assieme ai suoi schiavi, minaccia di imprigionarli. Ma Papageno si mette a suonare il carillon magico che gli era stato donato dalle tre Dame a servizio della Regina, che con la sua musica, induce Monostatos e i suoi schiavi a cantare e ballare con gioia. Così i due sono liberi di continuare la loro ricerca.
Questo frammento di trama, apparentemente "stupidissimo", racchiude ad esempio una concezione della musica capace di grandi poteri sull'animo umano che è stata ereditata dagli antichi greci.
Ho scelto una versione del Flauto Magico che è secondo me la Versione (con V maiuscola) per eccellenza. Ha un cast di grandi cantanti che dimostrano di essere anche grandi attori: Simon Keenlyside nei panni di Papageno, Dorothea Röschmann in quelli di Pamina e la divina Diana Damrau in quelli della Regina della Notte. Vi consiglio caldamente di andarvi a sentire la sua interpretazione della famosissima aria della Regina della Notte. È da brividi!
Il video di YouTube che ho trovato si interrompe sulla scena successiva, lasciando l'amaro in bocca. Purtroppo non ne ho trovati altri online, di quella versione (io ho il DVD, un must).
Autunno 1876. Pëtr Il'ič Čajkovskij, trentaseienne, sta viaggiando in treno verso Bayreuth per assistere alla prima de "L'Anello dei Nibelunghi", di Wagner, il cui stile non condivide affatto (Wagner, nato lo stesso anno di Verdi, porterà la rivoluzione nell'opera, ponendo le basi per l'atonalità che si svilupperà più concretamente nella prima metà del Novecento). Durante il lungo viaggio, legge il V canto dell'Inferno di Dante e rimane folgorato dalla vicenda di Paolo e Francesca. Il testo lo ha toccato così profondamente, che al suo ritorno inizia la stesura di una fantasia ad esso ispirata. Dopo solo tre settimane, la partitura è completa, e pronta per la prima esecuzione, che avverrà a Mosca nel febbraio 1877.
La fantasia è tripartita, in forma ABA, ed è preceduta dalla citazione dei versi del V canto e da una breve spiegazione di Čajkovskij stesso. La prima sezione descrive l'atmosfera infernale del secondo cerchio dell'inferno e il vento che trascina senza sosta le anime dannate dei lussuriosi. L'effetto è reso in particolare dagli accordi degli ottoni e dalle continue scale martellanti e veloci di violini e fiati, oltre che dalle numerose dissonanze, di chiaro riferimento a Liszt (anch'egli scrive una sinfonia ispirata alla poesia di Dante) e in parte, paradossalmente, anche a quel Wagner che a Čajkovskij sta così poco simpatico.
La seconda sezione, annunciata dal solo del clarinetto, che col suono caldo del legno è spesso associato alla voce umana, rappresenta il racconto di Francesca. L'atmosfera cambia radicalmente, un attimo di quiete nel caos infernale. Ed è proprio in questa sezione centrale che Čajkovskij dà sfogo alla grande sensibilità e creatività espressiva che lo caratterizza, creando un tema che ritornerà più volte, orchestrato sempre in modo diverso, fino al culmine, in cui è affidato alla sezione degli archi all'unisono.
L'idillio è però condannato a rompersi: attraverso una sapiente dissolvenza Čajkovskij ci fa ripiombare nel caos infernale, ricollegandosi alla sezione iniziale. Dopo un continuo susseguirsi di insistenti scale discendenti, la fantasia si conclude con un accordo dissonante ripetuto nove volte (quanti sono i livelli dell'inferno), prima di quello conclusivo.
Čajkovskij provava una palese empatia con la vicenda di Paolo e Francesca (si evince chiaramente dalla partitura) e per gli amori infelici in generale (un altro suo capolavoro è un'ouverture ispirata a Romeo e Giulietta). È emblematico il fatto che sia stato proprio l'amore la causa della sua morte: omosessuale, aveva instaurato una relazione con il figlio di un conte che, venutolo a sapere, minacciava di denunciare tutto allo zar. Lo scandalo che ne sarebbe derivato avrebbe avuto conseguenze così gravi e diffuse da spingere Čajkovskij ad una scelta definitiva: il suicidio. Bevve acqua infetta e morì, nove giorni dopo la prima esecuzione della sua sesta sinfonia, detta "Patetica", che racchiude il suo testamento artistico e rappresenta il Requiem per se stesso.