La Tosca è una tra le più belle opere composte da Giacomo Puccini (1858 - 1924), senza dubbio la mia preferita. È forse l'opera più drammatica del compositore, ricca di colpi di scena e avvenimenti che tengono costante la tensione fino alla fine, inframezzando l'azione con momenti lirici di straordinaria bellezza.
Sviluppa la sua trama grazie ai sentimenti estremamente "umani" dei tre protagonisti: amore, ribellione, gelosia, sadismo e desiderio carnale permeano l'azione sin dalle prime battute.
L'azione si svolge infatti, attorno ad un triangolo composto da Mario Cavaradossi, pittore bonapartista ed amante della protagonista, la cantante Floria Tosca e il barone Scarpia, capo della polizia papalina.
Affascinantissimo, nel suo ruolo di "cattivo" è proprio quest'ultimo personaggio, a cui Puccini associa una sequenza di accordi basati su armonie dissonanti che anticipa quasi l'espressionismo tedesco.
Vorrei proporre la chiusura del primo atto, una delle parti più suggestive dell'intera opera, per le sonorità, i contenuti e gli accostamenti armonici.
Il primo atto si apre con un incontro, all'interno di una chiesa, tra il pittore Mario e un ex console della Repubblica Romana e bonapartista, appena evaso da Castel Sant'Angelo, i quali organizzano un piano di fuga che sfrutta degli abiti femminili lasciati all'interno della cappella dalla sorella dell'evaso. Il dialogo è interrotto dall'arrivo di Tosca, venuta per combinare un incontro con il suo amante. Le parole d'amore della protagonista si trasformano però ben presto in uno sfogo tremendo di gelosia, nato dall'aver riconosciuto nella figura della Maddalena, a cui il pittore suo amante sta lavorando, il volto della sorella dell'evaso. Mario riesce a con difficoltà a calmarla e convincerla ad andarsene.
Decide quindi di aiutare l'evaso, accompagnandolo al suo nascondiglio. Questi, però, nella fuga dimentica all'interno della cappella il ventaglio della sorella, parte del suo travestimento.
L'atmosfera in chiesa viene nuovamente interrotta dall'arrivo di Scarpia, che sospetta fortemente il coinvolgimento di Mario nella fuga dell'ex console e la loro fede politica comune. Spinto quindi dal sospetto e dal desiderio incontrastabile di possedere Tosca, decide di sfruttare la gelosia morbosa di questa, che nel frattempo è tornata in chiesa per disdire i programmi della serata, mostrandole il ventaglio lasciato dall'evaso e facendole credere che fosse stato dimenticato dalla sorella dopo un incontro amoroso con Mario. Tosca, accecata dalla gelosia, si mette sulle tracce dell'amante e Scarpia comanda ai suoi sottoposti di farla seguire.
Ed è in questo momento che, mentre Scarpia pregusta la doppia vendetta su Mario, ovvero l'incarcerazione e l'allontanamento da Tosca, in chiesa esplode un Te Deum.
Il passaggio da Rinascimento a Barocco avviene in modo graduale, come sempre in questi casi. Le influenze rinascimentali sopravviveranno a lungo, negli anni avvenire (basti pensare alle Suites, dirette discendenti delle danze quattro-cinquecentesche).
Tuttavia alcuni dei cambiamenti che segnarono questo passaggio aprirono nuovi orizzonti distaccandosi da quella che viene chiamata "musica antica".
Uno tra questi è senza dubbio il graduale abbandono del sistema modale in favore di quello temperato.
Si passa da un sistema chiuso, come quello modale, a sentire l'esigenza di "muoversi" tra le varie regioni armoniche. Questa esigenza, sentita ed espressa già da molto tempo, non aveva fino a questo momento creato particolari problemi in quanto la musica era prevalentemente vocale, e quindi ad intonazione non fissa. I problemi sorgono in questi secoli di passaggio in cui si ha un enorme aumento e sviluppo della musica strumentale: ci si scontra quindi con l'irregolarità della scala pitagorica negli strumenti ad intonazione fissa, per cui lo stesso intervallo assume dimensioni diverse a seconda della sua posizione all'interno della scala.
Questo porta allo sviluppo di una scala basata su una divisione più regolare degli intervalli, basata sui rapporti armonici di un suono fondamentale, detta Scala Naturale o Zarliniana (da Zarlino, che l'ha sviluppata).
L'inconveniente maggiore di questo sistema riguarda la pratica. Si hanno infatti due tipi diversi di semitono che corrispondono effettivamente a suoni diversi: il semitono diatonico e cromatico. Per cui, in uno strumento a corde o a tastiera, sarebbe necessario il doppio dei tasti poichè, per fare un esempio, do diesis e re bemolle non coincidono.
Questa difficoltà pratica si risolve definitivamente con la Scala Temperata, che divide un'ottava in 12 intervalli uguali, permettendo di suonare qualsiasi brano in qualsiasi tonalità (come ha voluto dimostrare Bach con il suo Clavicembalo ben temperato in due volumi).
Tuttavia anche questo sistema non è perfetto o privo di inconvenienti. In primo luogo, si perde la perfezione degli intervalli consonanti naturali come ottava, quarta e quinta, che risultano "sporcati" dall'esigenza di uguagliare i gradi della scala. In secondo luogo, si perdono tutte quelle piccole particolarità che caratterizzavano ciascuna scala nei sistemi precedenti. Le irregolarità che rendevano ciascuna tonalità unica rispetto alle altre vengono appianate, rendendole tutte uguali.
Lo studio approfondito della nascente arte-scienza dell'Armonia, introduce una visione accordale della musica, che aveva avuto fino a quel momento una forma più polifonica, portando alla pratica ed alla diffusione del basso continuo, in sostituzione o accompagnamento di altre voci.
Così le composizioni polifoniche si trasformano gradualmente in monodiche, passando per vari stadi: dall'accentramento della melodia in una voce superiore, all'affiancamento o completa sostituzione delle altre linee con strumenti polifonici e non.
Questo passaggio si ha anche per un motivo pratico: essendo la musica del periodo principalmente eseguita all'interno dei palazzi da signori benestanti, che avevano la doppia funzione di spettatori-esecutori, capitava frequentemente di non avere a disposizione la giusta combinazione di voci o strumenti e quindi di dover "riarrangiare" il brano per l'organico disponibile.
Si ha inoltre un radicale cambiamento nel pensiero e nella concezione della musica; da ruolo centrale all'interno dell'espressione artistica, si trova "retrocessa" a servizio della parola, considerata adesso il cardine di una composizione. Essa non è più fine a se stessa, ma deve affiancare ed amplificare i significati del testo poetico a cui veniva associata.
La parola viene adesso considerata come la massima espressione dell'individualità umana (centro della visione umanistica) per cui risulta impensabile "soffocarla" con la musica.
Uno tra i compositori che è vissuto durante questo passaggio, e ha avuto la giusta sensibilità e il genio per interpretarlo, è Claudio Monteverdi (1567 - 1643). Mi piacerebbe lanciarmi nel parlare del magnifico contributo che questo genio ha apportato alla Musica con la M maiuscola, ma mi limiterò ad apportare degli esempi, vista la lunghezza inusuale di questo post.
Monteverdi, tra le molte opere di diversi generi, ha scritto in particolare Madrigali, e li ha scritti durante tutta la sua lunga vita, "fotografando" all'interno dei nove libri che raccolgono la sua produzione, il cambiamento di stile e il passaggio tra Rinascimento e Barocco.
Ed ecco quindi, un esempio di Madrigale in stile "antico", tratto dal suo primo libro, e uno che strizza l'occhio al Barocco, tratto dal nono.
Moltissimi compositori hanno musicato questa celebre tragedia di Shakespeare. Tra le numerose versioni, la mia preferita è senza dubbio quella di Sergei Prokofiev (1891 - 1953), in forma di balletto, da cui in seguito l'autore stesso ha estratto tre suites per orchestra.
La musica è estremamente suggestiva ed è stata utilizzata come colonna sonora in numerosi film.
È una composizione a me molto cara, in grado di rimandarmi agli anni dell'infanzia, quando la ascoltavo con mia madre e mia nonna.
Ho scelto la traccia secondo me più rappresentativa e suggestiva (forse anche la più famosa) il cui titolo è "Dance of the Knights", ma è conosciuta anche sotto il nome "Montagues and Capulets".
Descrive la parte della tragedia in cui si svolge il ballo dei Capuleti.
È in forma ternaria: la prima parte in fortissimo, estremamente ritmica e caratterizzata dal timbro degli ottoni, che accompagnano le danze dei membri della famiglia Capuleti. La seconda sezione è impostata in totale contrasto con la prima, in pianissimo, molto calma e serena. È la parte che rappresenta l'arrivo al ballo di Giulietta. Nella terza ed ultima sezione si ripresenta il primo tema, ma qualcosa è cambiato: Giulietta ha notato Romeo, le dinamiche sono meno aspre e spigolose. Il tema viene esposto dal sax tenore, fatto estremamente inusuale per l'epoca.
La Fuga è una forma polifonica contrappuntistica. È genere musicale che raggiunge il massimo splendore durante il periodo Barocco, ed è legata principalmente al nome di Dietrich Buxtehude (1637 - 1707), Johann Pachelbel (1653 - 1706) e soprattutto Johann Sebastian Bach (1685 -1750), con cui ha raggiunto il vertice della maturità.
Ha origine dalle forme contrappuntistiche e in stile imitato (in cui un tema, all'interno di un pezzo, viene proposto in diversi momenti dalle diverse voci, nella sua forma originale o variato, come ad esempio per moto contrario o con gli intervalli rivolti) sviluppate dai compositori fiamminghi durante il Quattrocento.
Come molte forme ad essa contemporanee, la Fuga ha una struttura molto variabile ma con degli elementi cardine caratteristici. Spesso è tripartita, divisa in Esposizione, in cui si espone il materiale tematico, uno Sviluppo, in cui questo materiale viene variato e trasposto in un più o meno ampio giro di tonalità, e la parte degli Stretti, in cui il materiale viene riesposto come in principio ma in entrate sempre più ravvicinate.
La Fuga si apre con un Soggetto, breve linea melodica composta di pochi suoni e pensata per essere facilmente riconosciuta, esposto da una delle voci, (spesso si tratta di quattro voci). A conclusione del Soggetto, un'altra voce entra esponendo una Riposta, che altro non è che il Soggetto alla dominante, riproposto trasponendo direttamente gli intervalli una quinta sopra o modificandone alcuni. La voce che ha esposto il Soggetto, invece, continua con un Controsoggetto che accompagna la Risposta. Così entrano progressivamente le varie voci, esponendo quando una Risposta, quando un Soggetto. Tra un'esposizione e l'altra vi sono delle progressioni di collegamento dette Divertimenti.
A conclusione dell'Esposizione, un divertimento porta allo Sviluppo, in cui Soggetto e Risposta vengono riproposti in diverse tonalità e variati: quando per moto contrario, quando retrogrado, quando retrogrado contrario e così via.
Per ultima abbiamo la sezione degli Stretti, in cui ogni voce espone Soggetto e Risposta in modo sempre più ravvicinato e più volte, in modo che questi due Temi (che in realtà è uno solo variato) si sovrappongano.
A questo punto la Fuga si conclude, spesso con un pedale di tonica.
Vorrei che ascoltaste questa Fuga di Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) per cercare di intuirne le varie parti (dal video si vedono piuttosto bene). È denominata "Ricercare", che è una forma parente stretta della Fuga, ma è una Fuga a tutti gli effetti.
Il breve Soggetto (riconoscibile e anche abbastanza bruttino) è stato suggerito a Bach dall'imperatore Federico II, che vi ha improvvisato sopra questa Fuga a 6 voci.
Sentite cosa ha tirato fuori, da un tema così poco aggraziato!
Si tratta di una raccolta di testi poetici medioevali risalenti al XI secolo, composti da studenti erranti, i clerici vagantes o goliardi, in latino, provenzale o alto tedesco.
Siamo in un'epoca in cui Mnemosine ancora regnava sulla musica: il repertorio veniva tramandato oralmente, e la notazione musicale iniziava a svilupparsi ed a diffondersi proprio in quegli anni.
Su 228 testi, solo 47 ci sono arrivati con un qualche tipo di indicazione musicale, sotto forma di neumi, segni apposti dai cantori per richiamare alla memoria l'andamento melodico del brano (c'è un post dedicato su questo blog).
Il codice che raccoglie questi componimenti, risalente a qualche secolo dopo, è suddiviso in sezioni, a seconda dell'argomento trattato:
- Carmina moralia, di argomento satirico o morale;
- Carmina veris et amoris, di argomento amoroso;
- Carmina lusorum et potatorum, di argomento conviviale;
- Carmina divina, di argomento sacro.
Eseguire un'interpretazione il più possibile fedele ai canti originali è cosa grandemente difficile, proprio per le scarse indicazioni con cui i testi sono correlati. Ve ne esistono, tuttavia, diverse registrazioni, nelle quali gli esecutori si sono sforzati, attraverso studio approfondito del codice e del brodo culturale del tempo, di produrre la versione filologicamente più coerente.
Esiste una versione dei Carmina Burana, la più famosa, che in comune con i canti originali ha solo il testo. È stata composta da Carl Orff (1895 - 1982) nel 1935, quando uno studio approfondito sui componimenti originali non era ancora stato fatto.
Ascoltiamo uno dei brani più famosi, nella versione di Orff, e in quella "originale".
Il "riciclaggio", ovvero lo sfruttare opere proprie o altrui per crearne di nuove è stata una pratica comune ed universalmente accettata fin dagli albori della storia della musica (e fino alla nascita della SIAE!).
Tutti scopiazzavano, da altri o da se stessi, elaborando materiale o addirittura facendo un copia-incolla da altre composizioni. In particolare, si trovano moltissimi rimaneggiamenti nelle forme del periodo Barocco, nelle quali più che la bellezza di un tema era importante il modo in cui questo veniva sviluppato.
Ecco perché non dobbiamo sorprenderci e tantomeno indignarci davanti ad alcune somiglianze tra brani dello stesso autore, nel caso più comune, di due autori che non si sono mai nemmeno conosciuti e che sono vissuti in periodi storici e musicali diversi, nei casi più eclatanti.
Partiamo dal caso più comune.
Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) prende il primo numero della cantata profana numero 214 "Tönet, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten!"e lo trasforma nel primo movimento dell'Oratorio di Natale BWV 248. Letteralmente.
Il "riciclo" dall'Oratorio di Natale:
L'originale:
Adesso il caso meno comune.
Per la stesura della celeberrima fuga del Kyrie estratto dal Requiem KV 626, Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791) ricicla un tema di una fuga di Georg Friedrich Händel (1685 - 1759) che fa parte del quasi altrettanto famoso oratorio Messiah.
La somiglianza è evidente, e non può essere considerata una coincidenza, visto che Mozart fu un grande studioso della musica di Händel e arrangiò una versione propria del Messiah.
Lo stesso tema riecheggia nella fuga numero 20 in La minore BWV 889 dal secondo libro del "Clavicembalo ben temperato" di Bach.
Non si può dire, in questo caso, chi abbia riciclato da chi, visto che entrambe le opere risalgono allo stesso periodo.
L'ipotesi più probabile è che entrambi abbiano preso questo tema da un quarto personaggio, di cui però non sappiamo niente.
E chi ci dice che questi non l'abbia preso da un quinto e questi da un sesto e così via di seguito?
Il "riciclo" di Mozart, Kyrie dal Requiem KV 626:
Il "riciclo" di Händel, dal Messiah:
Il "riciclo"di Bach, dal Clavicembalo ben temperato:
Quando si parla di musica italiana nel Mondo (mi riferisco sempre e comunque a quella fetta di musica definita "classica", in modo poco preciso), si pensa subito all'Opera.
In effetti, questo genere nato in Italia ha avuto un gradissimo successo ed una enorme diffusione, nei secoli successivi alla sua creazione. L'italiano diventò la lingua della musica colta, e i compositori stranieri si basarono (più o meno consciamente) su forma e struttura italiana per definirne una versione personalizzata per il proprio Paese. Tutto questo fino a Wagner, che mandò tutto a gambe all'aria, ma questa è un'altra storia...
In realtà l'influenza della cultura musicale italiana non si è limitata all'ambito del teatro in musica.
Abbiamo già parlato, infatti, del ruolo che ebbe il Concerto Barocco italiano nella produzione di grandi maestri come Bach.
Oggi vorrei porre l'attenzione su un tipo di repertorio tipico del Barocco inglese, ovvero la musica strumentale al virginale.
Il virginale è uno strumento molto simile al clavicembalo (usato soprattutto in Gran Bretagna) ma più piccolo e di forma rettangolare. Le sue corde, una per ciascuna nota, sono poste parallelamente alla tastiera, lungo il lato maggiore dello strumento.
Il nome deriva dal fatto che fosse uno strumento principalmente usato dalle donne all'interno dell'ambiente domestico (da cui le ridotte dimensioni).
Non di rado, i brani che portavano l'indicazione di dover essere eseguiti al virginale, venivano invece eseguiti su grandi clavicembali in stile italiano (ed ecco un'altra influenza del nostro Paese!).
Influenza più sottile e discreta dell'Opera o del Concerto Barocco si trova addirittura all'interno di un repertorio prettamente britannico, raccolto in manuali che comprendevano le più famose e gradite composizioni dei Maestri barocchi inglesi.
Nel "Fitzwilliam Virginal Book" trova un brano di William Byrd (1539 - 1623), che è intitolato "La Volta", ed ha la forma di una danza tipica italiana.
Quelli erano davvero bei tempi, in cui la cultura in Italia era così coltivata ed apprezzata da arrivare in ogni cantuccio d'Europa.
Nel 1894 si esegue per la prima volta il poema sinfonico "Prélude à l'après-midi d'un faune" (Preludio al pomeriggio di un fauno) di Claude Debussy (1862 - 1918).
Per la stesura di questa opera il compositore si ispirò al poema di Stéphane Mallarmé "L'après-midi d'un faune". Fu concepita inizialmente, infatti, come sottofondo musicale a questa opera letteraria, e doveva comprendere più movimenti di respiro più ampio. Lo spettacolo però, non andò mai in scena, e la musica non fu mai completata, spingendo Debussy a dare una forma finita al solo Prélude.
Il poema narra di un fauno, che risvegliatisi da un sonnellino pomeridiano, rievoca un sensuale incontro mattutino con delle ninfe.
La musica rispecchia e amplifica lo spirito sensuale del poema a cui è ispirata, utilizzando come tema principale una melodia cromatica discendente ed ascendente affidata al flauto.
Nel 1912, Il "Prélude" diventa un balletto, grazie al genio sfrontato di Diaghilev e alla coreografia di Nijinsky (gli stessi del "Sacre du printemps" di Stravinsky!).
I movimenti di questo balletto sono lontanissimi dalla danza accademica delle punte e delle piroette: si svolgono principalmente nella fascia più vicina al pubblico del palcoscenico, in linee rette e quasi in due dimensioni, richiamando la linee degli antichi vasi greci. Il fauno, in particolare, assume sempre posizioni molto "spigolose", con le caratteristiche gambe e braccia piegate, e le mani aperte in posizione rigida.
L'elemento straordinario, e scandaloso per l'epoca, di questo breve balletto (poco più di 10 minuti!) è senza dubbio la storia narrata, soprattutto nel finale.
Distaccandosi infatti, dal poema di Mallarmé, il fauno di Diaghilev non riesce a conquistare le ninfe e conclude il suo pomeriggio con un evidente atto di autoerotismo con il velo di una di loro.
Scandaloso!
Vi lascio all'interpretazione di Rudolf Nureyev, e all'immaginazione di cosa possa essere successo tra il pubblico durante la prima, dopo aver assistito al primo atto di autoerotismo in scena.
Il sistema musicale greco si basava su Modi, ovvero scale discendenti di quattro suoni, accoppiate in diverse combinazioni dette Harmoniai. Ciascuna di esse portava il nome di una popolazione della penisola ellenica e comprendeva, oltre alla successione di particolari intervalli su cui si basava tutto il sistema del popolo corrispondente, anche le sue tradizioni, prassi esecutive e motivi tipici.
I Modi greci, organizzati in Harmoniai, erano i seguenti:
I Greci ritenevano che la Musica potesse influenzare i comportamenti e lo spirito di ogni essere vivente, e su questa base elaborarono la cosiddetta "Teoria dell'Ethos", per cui a ciascun Modo e Harmonia veniva associato un diverso effetto sull'uomo (proprietà terapeutiche comprese).
Proprio per questo suo grande potere, i grandi filosofi ritenevano che dovesse avere un ruolo centrale all'interno della società e nell'educazione dei futuri cittadini. Secondo Platone, ad esempio, si doveva fare musica solo nei Modi che portavano l'uomo a moderazione, serietà e compostezza, eliminando tutte le musiche scritte negli altri Modi, in particolare quelli amplificano l'emotività e portano alla sfrenatezza e all'estasi orgiastica ("catarsi alliopatica"). Secondo Aristotele, invece, anche questi ultimi Modi erano importanti, perché permettevano all'uomo di liberarsi delle negatività ("catarsi omeopatica").
La dualità individuata dai grandi filosofi, rappresentata da moderazione e compostezza da una parte, sfrenatezza e ed estasi orgiastica dall'altra, era presente in molti aspetti della cultura greca.
Nella religiosità, che contrapponeva la religione olimpica, quella ufficiale, in cui uomini e Dei erano nettamente separati, a quella dionisiaca, che ammetteva il contatto uomo-Dio attraverso riti in cui l'invasamento estatico rappresentava il protagonista.
Negli strumenti musicali, in cui questi due poli opposti erano simboleggiati dalla Lyra, strumento a corda usato spesso come accompagnamento alla voce, e quindi alla parola, da cui l'associazione alla razionalità, e dall'Aulos, un doppio strumento a fiato ad ancia doppia simile al nostro oboe, collegato all'istinto ed alle potenze irrazionali.
Paradossalmente i miti che illustrano l'origine di questi due strumenti associano l'introduzione della Lyra ad Hermes, Dio dei sogni e quindi dell'irrazionale, e dell'Aulos ad Atena, dea dell'intelligenza e della saggezza. Esattamente il contrario di quanto ci saremmo aspettati!
Atena che suona l'Aulos
La Lyra
Un altro punto su cui i grandi filosofi si trovavano d'accordo era il vietare la Musica come professione, poiché il professionismo all'interno della loro società rappresentava una condizione servile. La Musica veniva quindi caldamente raccomandata, ma solo come occupazione nel tempo libero di un giovano colto.
Questa visione del professionismo musicale è sopravvissuta sorprendentemente a lungo nei secoli (e in parte permane ancora oggi, purtroppo).
In questa concezione si trova la spiegazione del fatto che sono giunti fino a noi moltissimi scritti teorici sulla Musica, mentre per quanto riguarda la sua pratica sono sopravvissuti solo un numero ridicolo di frammenti.
La vera Musica era considerata solo ed unicamente quella teorica, basata sul numero e legata al moto degli astri e alla struttura dell'Universo. La Musica suonata, in quanto pallido riflesso di quest'ultima, non era degna di essere tramandata.
Dai pochi frammenti giunti fino a noi è stato però per fortuna possibile capire quali fossero le principali caratteristiche della pratica musicale greca.
La notazione vocale utilizzava alfabeto greco maiuscolo, quella strumentale segni dritti, inclinati e capovolti derivati dall'alfabeto fenicio.
Le melodie si sviluppavano nell'ambito di un'ottava e vertevano sugli intervalli considerati consonanti: l'unisono, l'ottava, la quarta e la quinta. Era su uno di questi intervalli, infatti, che la melodia si fermava nei punti nevralgici di un testo. Il ritmo era dettato sia dalla musicalità della lingua che da schemi ritmici preordinati detti "piedi".
Voce e strumenti cantavano all'unisono, come pure nei cori.
A conclusione, completiamo il quadro ascoltando uno di questi frammenti sopravvissuti.
In particolare, il più antico brano musicale completo giunto fino a noi.
Mentre lo ascoltate, riflettete sul fatto che questa musica risale al I secolo a.C...
Oggi poche parole su un capolavoro che mi ha proposto stamattina Rete Toscana Classica mentre guidavo: la Sinfonia n. 6 di Antonin Dvorak (1841 - 1904), uno dei miei autori preferiti.
A questa, come tutte le sinfonie di Dvorak, sono associati numeri diversi: per il suo editore corrisponde alla numero 1, in quanto è stata la prima ad essere stampata, per noi che seguiamo l'ordine cronologico è la numero 6, per l'autore la 5, perché credeva di aver perso la prima (poi ritrovata).
In un periodo in cui si stavano riscoprendo le identità nazionali in tutti i campi dell'arte, Dvorak scrive questa perla (che somiglia alla Sinfonia n. 2 di Brahms) in stile romantico tedesco, con diversi elementi della cultura ceca, in particolare, richiami a canti e musiche popolari.
La Sinfonia è composta di 4 movimenti, secondo lo stile classico:
Allegro non tanto
Adagio
Scherzo (Furiant), Presto
Finale, Allegro con spirito
Il primo movimento è in forma-sonata, secondo la tradizione. Il secondo è in forma di Rondò mentre il terzo incorpora una Furiant, danza ceca ternaria veloce con frequenti spostamenti di accento che fanno sembrare che il tempo muti in continuazione da binario a ternario.
Il quarto movimento è anch'esso in forma-sonata.
Le melodie di Dvorak sono sempre bellissime e di grande effetto, spesso presentate dai legni e dagli ottoni (basti pensare alla celeberrima nona Sinfonia, "Dal nuovo mondo").
A seguire, quarantadue minuti di estasi.
Abbiamo già parlato dell'Oratorio, una forma nata ad inizio Seicento, il cui grande Maestro sviluppatore fu Giacomo Carissimi (1605 - 1674).
Nato nello stesso periodo del Teatro in Musica, ovvero l'Opera, come noi oggi la chiamiamo, si contrappone quasi ad essa, proponendo storie dall'alto contenuto morale volte all'educazione dei fedeli e rappresentate nella sobrietà degli oratori (ambienti annessi alle chiese) senza costumi e scenografie.
In realtà è incredibile quanto questi due generi, seppur destinati ad usi e prassi esecutive diverse, siano simili.
Innanzitutto, per quanto riguarda la struttura, che è esattamente la stessa: una sequenza di arie e recitativi, eseguiti a turno dal coro e dai solisti, e di brani strumentali.
Oltre a ciò, alcuni Oratori hanno una carica drammatica tale da poter benissimo essere scambiati per Opere, se ascoltati ad occhi chiusi. La drammaticità è infatti un po' stemperata dal fatto che l'esecutore non recita e non è in costume, ma è parimenti presente e forte.
Alcuni geniali registi, hanno avuto la brillante idea di mettere in scena degli Oratori ed il risultato ottenuto è strabiliante.
Vorrei proporre due arie da due diversi lavori di Georg Friedrich Händel (1685 - 1759).
Quale delle due è estratta da un'Opera e quale da un Oratorio?
Cercate di non barare! Ci sono tre segni che non vi possono far sbagliare.
La prima aria è estratta da un'Opera, la seconda da un Oratorio.
I tre indizi fondamentali sono che l'Opera di Händel è in stile italiano e quindi cantata in italiano, mentre l'Oratorio è nella lingua nazionale o in latino: in inglese in questo caso, in tedesco per Bach e così via; che in ambiente operistico si usava far cantare le parti alle voci (principalmente maschili) acute, indipendentemente dal ruolo che esse interpretavano, ed erano usatissimi i castrati (quello del video non è castrato, bensì controtenore) mentre nell'Oratorio si sfruttano le consuete quattro voci di soprano, contralto o mezzosoprano, tenore, baritono o basso; che l'Opera tratta di argomenti mitologici o storici mentre l'Oratorio ha contenuti biblici.
Il Lied è una forma musicale presente nella storia della Musica sin dal medioevo, che ha attraversato variazioni di struttura e momenti più o meno fortunati. Comunemente, parlando di Lied, ci si riferisce in particolare alla forma sviluppatisi durante il Romanticismo.
Di solito ci si riferisce al Lied come una composizione per voce solista e pianoforte, il grande protagonista dell'epoca romantica, ma sono frequenti Lieder per più voci o completamente strumentali, come i celeberrimi (e bellissimi) Lied ohne Worte (Lied senza parole) di Felix Mendelssohn.
È una forma di espressione musicale e poetica molto intima, la cui esecuzione avveniva all'interno di salotti e circoli letterari. Non a caso, il primo grande compositore di Lieder fu Franz Schubert (1797 - 1828). Le sue composizioni venivano eseguite esclusivamente in salotti, durante manifestazioni dette "Schubertiadi". La Vienna pubblica conobbe il compositore solamente nel suo anno di morte, grazie ad un concerto pubblico organizzato dai suoi amici e stimatori.
I testi scelti per i Lieder sono di alta levatura letteraria; tra gli autori vi sono, per dirne alcuni, Goethe, Schiller, Heine.
Ed è proprio di Schubert il Lied che volevo proporre: Gretchen am Spinnrade, ovvero Margherita all'arcolaio.
Il testo è tratto dal Faust di Goethe, ed è proposto in forma di Rondò.
Margherita canta da sola mentre sta filando all'arcolaio, ripensando a Faust e alle promesse che le ha fatto.
È un brano estremamente descrittivo e di straordinaria bellezza, in cui l'autore trasmette in modo estremamente efficace le emozioni di Margherita, attraverso il canto frammentato e la linea della mano sinistra. Alla mano destra sono invece affidati cicli di sestine, che richiamano il rumore dell'arcolaio.
Henry Purcell (1659 - 1695) è uno tra i più grandi compositori britannici nella storia della musica.
Viene in particolare ricordato per le composizioni dedicate al teatro, tra le quali spicca il capolavoro "Dido and Aeneas"(1688), opera in tre atti, composta per un collegio femminile.
La storia, tratta dalla celeberrima Eneide di Virgilio, è incentrata sull'amore di Didone per Enea e la sua disperazione quando questi la abbandona.
L'aria che volevo proporre "When I am laid in earth", detta anche "Dido's lament", è il momento in cui Didone disperata rivolge alla sorella e ancella Belinda le sue ultime parole, quasi un testamento:
When I am laid, am laid in earth, may my wrongs create
No trouble, no trouble in thy breast;
Remember me, remember me, but ah! forget my fate.
Remember me, but ah! forget my fate.
Il brano è strutturato come una ciaccona o passacaglia: un frammento di linea di basso si ripete per tutta la durata dell'aria, per un totale di undici volte.
Come si può vedere dallo spartito, incorporato nel video, questa linea è fortemente cromatica, per sottolineare il dolore e la sofferenza.
Il cromatismo viene spessissimo usato, in particolare nel tardo Rinascimento e Barocco, proprio per sottolineare questi aspetti e trasmettere questo genere di stato d'animo, ed è tipico di questo genere di arie detto "Lamento".
Questo in particolare è di una semplicità estrema e fortemente suggestivo.
La Lauda è una forma vocale sacra non liturgica in volgare, sviluppatisi in Italia (più precisamente in Toscana e Umbria) in corrispondenza della nascita dei nuovi movimenti religiosi che poi diventeranno i Francescani, Domenicani e altri.
L'avvento di queste nuove congregazioni porta ad una crescita del sentimento religioso che coinvolge tutti i ceti. I canti in volgare diventano quindi il mezzo di comunicazione preferito, essendo molto più comprensibili di quelli in latino, eseguiti durante la liturgia.
Questo tipo di canto, detto appunto Lauda, viene dapprima tramandato oralmente ed è in stile monodico. Col passare degli anni si inizia a raccoglierli in "Laudari", alcuni dei quali giunti fino a noi (il più antico: Laudario di Cortona, seconda metà del XIII secolo), e diventano polifonici. Continueranno ad essere eseguiti fin nel Rinascimento, e ritroveranno vigore nel periodo della Controriforma, fino all'avvento dell'Oratorio, che li soppianterà.
La forma è strofica, con momenti corali alternati ad interventi solistici.
Per fare un illustre esempio, il "Cantico delle creature" di San Francesco d'Assisi fa parte di questo genere.
La Lauda che volevo proporre si trova proprio raccolta del Laudario di Cortona, in una versione polifonica piuttosto suggestiva.
Gioachino Rossini (1792 - 1868) è il primo (in ordine cronologico) grande compositore di melodramma italiano dell'Ottocento. Le sue opere costituiscono il ponte tra opera settecentesca ed ottocentesca, sia nel campo dell'opera seria, in cui pone le basi per la visione romantica dei suoi successori, che nell'opera buffa, che porterà al massimo splendore (insieme a Donizetti) prima del naturale declino del genere.
Al contrario dei suoi illustri contemporanei e successori (Bellini, Donizetti, Verdi e più tardi Puccini), non vi è ombra di romanticismo nelle sue opere (a parte nell'ultima, Guillaume Tell nel 1829). Egli stesso si ritira dalle scene (dopo solo trent'anni di attività e al culmine della celebrità), perché non condivide il nuovo pensiero romantico.
I suoi personaggi non sono animati dalle loro passioni e non agiscono secondo la propria soggettività. L'autore non partecipa alle loro vicende ma li anima dall'alto, come se fossero marionette. Sono uomini e donne succubi del loro destino, che si scontrano con il loro fato in situazioni per loro incomprensibili, ed in tali scene, si perdono e vanno in confusione, dando luogo a momenti di non-sense in cui Rossini si esprime nel suo tipico stile di ritmo, dinamica e parole spezzate.
È proprio una di queste scene che vorrei proporre, parte della Cenerentola (1817), il classico esempio di momento di confusione a cui sono spinti i personaggi del burattinaio-Rossini. Tutto il brano gioca su effetti linguistici, ritmici e dinamici, che mostrano l'incapacità dell'uomo di reagire e comprendere il proprio destino.
Verrà da pensare: "Ma questo, che cosa ha fumato?". Sembra follia, ma è Genio.
Il XVI secolo è un periodo di grandi cambiamenti in Europa, soprattutto per quanto riguarda la religione. Avviene in questo momento storico, infatti, la Riforma protestante da parte di Martin Lutero, e la conseguente Controriforma cattolica, regolata dal Concilio di Trento (1545 - 1563).
In Germania Lutero incentra il culto protestante sulla musica, affidando alla forma del Corale la partecipazione dell'assemblea dei fedeli al rito.
In Italia, negli ultimi anni dei Concilio, ci si dedica alla ridefinizione del repertorio sacro, delineandolo in tre fondamentali punti:
Abolizione di tutte le Sequenze, tranne 5 scelte. Le Sequenze erano brani liturgici costituiti da un melisma al quale veniva aggiunto un testo. Nate come aiuto mnemonico, sono poi diventate parte costitutiva del repertorio liturgico.
Abolizione, all'interno dei brani sacri, di Cantus Firmi di origine profana. Il Cantus Firmus è la base su cui si costruisce l'intera composizione sacra. È una melodia con testo sacro che viene eseguita da una delle voci coinvolte (di solito il Tenor - da tenere) a valori molto larghi, mentre le altre "ricamano" in tessiture superiori.
Intelligibilità dei testi sacri cantati. Gli ecclesiastici erano convinti che la polifonia, con gli intrecci melodici, il contrappunto e l'eventuale politestualità, distraessero il fedele dal significato del testo sacro.
In questo contesto si pone un personaggio chiave del periodo, perfetto interprete dei dogmi della Controriforma, che costruirà un modello per la musica vocale sacra di tale autorità da sopravvivere a lungo nei secoli: Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 - 1594).
Oltre a fissare la forma della Messa come noi oggi la conosciamo, elabora uno stile di scrittura semplice, efficace e di grande suggestività, salvando la polifonia dal triste destino che la Controriforma le aveva prospettato.
Equilibra le quattro (o più) voci, alternando momenti in stile imitato a omoritmia, corrispondenti ciascuno ad una frase del testo liturgico scelto. Queste frasi si ripetono diverse volte e si susseguono in continuità l'una con l'altra, senza cadenze o interruzioni nette della melodia.
Le linee vocali sono molto semplici e lineari: si svolgono nell'ambito di una nona e procedono quasi sempre di grado congiunto, superando molto di rado il salto di terza.
Il punto fondamentale sta nell'uso delle linee melodiche, volte all'amplificazione delle immagine evocate dal testo liturgico.
Prenderò come esempio, uno dei più bei mottetti di Palestrina: Super Flumina Babylonis.
Il testo narra dell'esilio degli Ebrei, che siedono presso i fiumi a Babilonia e gemono, ricordando la patria perduta. Il dolore è tale da appendere gli strumenti agli alberi: non risuoneranno più canti o musica, ma solo il Silenzio.
Verdi musicherà lo stesso salmo circa trecento anni dopo, dando vita al celeberrimo "Va pensiero" dal Nabucco.
In questo mottetto Palestrina usa la musica per descrivere visivamente la situazione. Le entrate delle varie voci simulano l'affluenza dei corsi d'acqua nel fiume principale mentre sulla parola "Babylonis" si innalzano quasi a descrivere i profili delle torri. In corrispondenza di "sedimus" sono omoritmiche dando l'impressione dell'atto statico del sedersi.
Il verso "dum recordaremur tui Sion" appare molte volte nelle diverse voci, in stile imitato, come a descrivere un'idea che gira tra le varie persone. In corrispondenza del "suspendimus", la melodia descrive l'atto di appendere lo strumento, effettuando un movimento ascendente e poi subito discendente. Il mottetto stesso, si conclude in cadenza sospesa.
Queste sono solo alcuni degli espedienti usati dal compositore!
Provate a ritrovarli e cercarne altri durante l'ascolto di questo breve, ma intenso, capolavoro.
testo:
Super flumina Babylonis illic sedimus et flevimus, dum recordaremur tui, Sion. In salicibus in medio ejus suspendimus organa nostra.
Ionisation è una composizione di Edgard Varese (1883 - 1965) del 1929-31, ed è la prima scritta per sole percussioni. Sono previsti per l'esecuzione più di 30 strumenti, tra cui il pianoforte, usato in modo percussivo e non armonico o melodico come siamo abituati a sentirlo.
Una grande novità è la presenza delle sirene, per la prima volta inserite tra le schiere degli strumenti musicali. Sono capaci di produrre frequenze che variano in modo continuo, come un lungo glissando, per cui danno un effetto nuovo e allargano le possibilità di combinazione.
Bisognerebbe parlare per ore di questo pezzo, dell'influenza della crisi economica su di esso, della posizione specifica di ciascuno strumento e strumentista etc., ma mi limiterò a proporlo così, e vediamo cosa succede.
Il repertorio del Novecento, ha sempre bisogno di essere ascoltato con mente aperta e mettendo momentaneamente da parte tutte le regole del sistema tonale e l'idea di dissonanza che ci hanno insegnato a scuola/conservatorio e con cui siamo cresciuti. Questo è proprio quello che va fatto di fronte a brani di questo genere, ed è quello che vi chiedo.
Questa versione è eseguita dall'Ensemble InterContemporain, una associazione di musicisti fondata da Pierre Boulez (1925), in questo video nei panni di direttore. Quest'uomo è una delle grandi personalità del secolo scorso ed è, oltre che compositore, uno dei più grandi diffusori della musica contemporanea.
Il Ricercare è un genere strumentale che si sviluppa negli anni di passaggio tra 1500 e 1600.
Si tratta di una composizione di carattere contrappuntistico, una sorta di antenato della fuga, scritto spesso ancora in sistema modale, senza quindi nessuna modulazione.
Alterna diverse sezioni, di omoritmia e contrappunto, che possono cambiare anche tempo ma si pongono in continuità l'una con l'altra.
Di solito veniva eseguito su strumento a tastiera, quindi organo o clavicembalo a scelta. Non vi è infatti alcuna distinzione (a parte in Francia) tra questi due strumenti, a parte la destinazione d'uso. L'organo verrà perfezionato con l'aggiunta di manuali, registri e della pedaliera solo durante il Barocco, quindi la tecnica esecutiva per i due strumenti era la stessa. L'unica vera differenza è che si usava l'organo in ambiente liturgico, il clavicembalo in situazioni profane.
Il termine stesso è fonte di ambiguità: vengono definite Ricercare una notevole varietà di composizioni, con caratteristiche comuni ma stili molto diversi.
Proprio per sottolineare questo vorrei proporre tre diversi tipi di Ricercare, scritti nello stesso periodo.
Un Ricercare per clavicembalo di Giovanni Maria Trabaci (1575 - 1647), nella sua forma più "accademica", uno per organo del genio quasi-jazzista Girolamo Frescobaldi (1583 - 1643) e un Ricercare per fiati di Giovanni Gabrieli (1554 - 1612), nel tipico stile concertato veneziano (di cui parlerò).
Una parentesi personale. Oggi ho preso il diploma, e voglio ringraziare i miei maestri: Carlo, Federico e Daniele.
In particolare Federico, che oltre ad avermi insegnato l'arte e la scienza dell'Armonia, mi ha fatto da pianista accompagnatore (e questo significa svegliarsi alle 6 e farsi 8 ore in macchina per raggiungermi ad Adria) e da psicologo in questi ultimi giorni di paranoia prima degli esami.
In particolare, vorrei proporre questo concerto, che mi ha suonato giusto oggi in una pausa tra una prova e l'altra e che non conoscevo.
Robert Schumann (1810 - 1856) è stato un personaggio di rilievo del periodo romantico, sia come compositore che per la sua attività di critico musicale. Fonda nel 1834 la Neue Zeitschrift für Musik, una rivista che si occupa della diffusione della musica dei suoi contemporanei. In particolare, nel '53 scriverà un articolo in cui annuncerà al mondo dell'arte romantico la nascita di una nuova stella, Johannes Brahms.
Decide di diventare pianista, e concentra tutte le sue forze sull'attività concertistica, ma è costretto a smettere a causa di una paralisi a due dita della mano destra. Si dedica allora completamente alla composizione e alla letteratura.
Sposa Clara Wieck, figlia del suo maestro di pianoforte a Lipsia, grandissima virtuosa del pianoforte.
Sono anni fecondi di splendide composizioni, che verranno disturbati dal manifestarsi dei primi segni di una malattia mentale che lo porterà a tentare il suicidio gettandosi nel Reno, e alla morte in un manicomio nel 1856, assistito dalla moglie e dal sopracitato Brahms.
Questo è quindi il bellissimo concerto per pianoforte con cui mi ha deliziato il mio grande Maestro, eseguito da una pianista eccezionale: Martha Argerich.
Siamo nel primo Romanticismo, in un periodo in cui nel mondo della musica strumentale operano fior fiore di compositori: Franz Schubert, Felix Mendelssohn, Robert Schumann, Fryderyk Chopin e Franz Liszt, per dirne alcuni.
Hector Berlioz (1803 - 1869), è l'unico tra questi che opera principalmente in Francia, senza essere compreso (anche Chopin opera a Parigi, ma al contrario del povero Berlioz, è adorato da tutti). Viene accolto con calore da Mendelssohn e Schumann a Lipsia, ma non riesce a fare breccia nel cuore ballerino dei francesi, neanche con il teatro musicale.
È un grandissimo maestro di orchestrazione, e lascia degli scritti sull'argomento che gettano le basi per la moderna orchestrazione e per la disposizione ideale dei musicisti in funzione dell'acustica.
La sua formazione orchestrale prevede un gran numero di elementi e l'uso degli strumenti più disparati, ciascuno utilizzato magistralmente nel suo timbro caratteristico.
Vorrei proporvi il più celebre dei suoi brani, la Symphonie Fantastique, eseguita per la prima volta nel 1830. Non è strutturata secondo le regole della Sinfonia classica, ma è in forma di "Sinfonia a programma", un genere inventato da Liszt, che prevede una sequenza di brani, ciascuno con il proprio titolo e carattere, accomunati dallo stesso filo conduttore generato da uno stimolo extramusicale, che può essere un paesaggio, una poesia, un'immagine, un personaggio. È detta "Sinfonia a programma" proprio perché viene allegato al libretto di sala un vero e proprio programma che illustra il particolare stimolo extramusicale che ha generato il brano.
Moltissimi compositori romantici adottano questa forma (e quella del fratello "Poema Sinfonico", anch'esso generato da stimoli extramusicali, in un tempo) perché permette di esprimere liberamente la soggettività del compositore e di trasmettere le immagini caratteristiche del pensiero romantico.
Ecco quindi, la Symphonie Fantastique, e il suo programma.
« Il compositore si è posto il fine di sviluppare nella loro essenza musicale diverse situazioni della vita di un artista. La trama del dramma strumentale, privo dell'ausilio della parola, dev'essere esposta anticipatamente. Il seguente programma va dunque considerato come il testo parlato di un'opera, utile ad unire frammenti musicali di cui esso motiva il carattere e l'espressione. Berlioz prevede però che si possa non tener conto del programma, poiché la Musica basta a se stessa:
Il seguente programma dev'essere distribuito all'uditorio ogni volta che la Sinfonia Fantastica sia eseguita in forma drammatica e di conseguenza seguita dal monodramma Lelio, che termina e completa l'episodio della vita d'un artista. In tal caso, l'orchestra invisibile è disposta sulla scena d'un teatro al di là del sipario abbassato.
Se si esegue la sinfonia isolatamente in concerto, questa disposizione non è più necessaria: a rigore, è possibile anche evitare di distribuire il programma, conservando soltanto il titolo dei cinque pezzi; la sinfonia (l'autore lo spera) può garantire di per se stessa un interesse musicale indipendente da ogni intenzione drammatica.
Prima parte: Fantasticherie – Passioni
Il compositore immagina che un giovane musicista, agitato da quella infermità spirituale che un celebre scrittore denomina l'indeterminatezza delle passioni, vede per la prima volta una donna che riunisce tutto il fascino dell'essere ideale che la sua immaginazione ha vagheggiato, e se ne innamora perdutamente. Per una strana bizzarria, la cara immagine non appare alla mente dell'artista che legata a un'idea musicale, in cui egli avverte un certo carattere appassionato, ma nobile e riservato, come quello che attribuisce all'oggetto amato.
Questa immagine melodica e il suo modello lo perseguitano incessantemente come una doppia idea fissa. Ecco perché la melodia iniziale del primo Allegro ricorre costantemente in ogni movimento della sinfonia. La transizione da uno stato di sognante malinconia, interrotta da vari accessi di gioia immotivata, ad uno di passione delirante, con i suoi impulsi di rabbia e gelosia, i suoi ricorrenti momenti di tenerezza, le sue lacrime e le sue consolazioni religiose, è l'argomento del primo movimento.
Seconda parte: Un ballo
L'artista viene a trovarsi nelle più diverse circostanze della vita: nel mezzo del tumulto d'una festa, nella pacifica contemplazione delle bellezze della natura; ma ovunque, in città o in campagna, la cara immagine gli si presenta e turba la sua anima.
Terza parte: Scena campestre
Trovandosi una sera in campagna, sente in lontananza due pastori che suonano, facendosi eco, una melodia campestre; questo duetto pastorale, lo scenario naturale, il frusciare leggero degli alberi dolcemente agitati dal vento, alcuni motivi di speranza ch'egli subito concepisce, tutto concorre a restituire al suo cuore una pace inusuale e a dare ai suoi pensieri un colore più gaio. Egli riflette sul proprio isolamento, spera che presto non sarà più solo... Ma se lei lo deludesse!... Questo miscuglio di speranza e timore, questi pensieri di felicità turbati da neri presentimenti formano il soggetto dell'Adagio. Alla fine, uno dei pastori riprende la melodia campestre; l'altro non risponde più... Rumore lontano di tuono... Solitudine... Silenzio...
Quarta parte: Marcia al supplizio Avendo maturato la certezza che non solo colei ch'egli adora non corrisponde il suo amore, ma che è incapace di comprenderlo e addirittura ne è indegna, l'artista si avvelena con dell'oppio. La dose del narcotico, troppo esigua per dargli la morte, lo sprofonda in un sonno accompagnato dalle più atroci visioni. Egli sogna di aver ucciso la sua amata, di essere condannato e condotto al supplizio, di assistere alla sua stessa esecuzione. Il corteo avanza al suono di una marcia ora ombrosa e selvaggia, ora brillante e solenne, nella quale un rumore sordo di gravi passi è seguito senza transizione da scoppi di fragore eclatante. Conclusa la marcia, le prime quattro battute dell'idea fissa ricompaiono come un ultimo pensiero d'amore interrotto dal colpo fatale.
Quinta parte: Sogno di una notte di sabba Egli vede se stesso al sabba, nel mezzo di un'orda spaventosa di ombre, di stregoni, di mostri d'ogni specie, riuniti per i suoi funerali. Strani rumori, gemiti, scoppi di risa, grida lontane alle quali altre grida sembrano rispondere. La melodia amata compare ancora, ma essa ha perduto il suo carattere di nobiltà e di timidezza; ormai non è altro che un'aria di danza ignobile, triviale e grottesca: è lei che giunge al sabba... Ruggito di gioia al suo arrivo... Ella si unisce all'orgia diabolica... Campane a morto, parodia burlesca del Dies Irae, ronda del Sabba. La ronda del Sabba e il Dies Irae insieme. »
L'Ars nova è un movimento musicale che si sviluppa durante il Trecento in Italia ed in Francia, con caratteristiche diverse nei due paesi.
La parola "Ars" non indica il concetto di "arte, bensì di "tecnica", e si riferisce alla notazione ritmica. Si introduce, infatti, un nuovo metodo di misurazione dei valori delle note, detto "mensurale" (quello da cui deriva il nostro), in contrapposizione con quello antico, quello modale, che si affidava a combinazioni predefinite di sillabe lunghe e brevi.
La maggiore novità legata all'Ars nova è quella dell'introduzione dei tempi binari, a fianco dei ternari, che sono stati fino al Trecento gli unici utilizzabili perché legati al numero 3, simbolo divino.
È un periodo caratterizzato, inoltre, dalla prevalenza di repertorio profano sul sacro.
Dell'Ars nova italiana abbiamo già parlato: è caratterizzata da forme strofiche come Madrigale (del Trecento), Ballata e Caccia, a due o tre voci.
In Francia invece, dove qualche secolo prima era nata la polifonia, si sviluppano forme a più voci (tre o quattro) con struttura più complessa. Si inaugura un periodo, che continuerà nel Quattrocento, in cui la musica si riempie di simbologie numeriche, proporzioni, simmetrie e rapporti particolari (come la sezione aurea), al fine di renderla indipendente dalla parola.
Una forma particolare che si sviluppa durante il Trecento francese, è il mottetto isoritmico: si struttura la musica secondo moduli melodici (detti "Colores") e ritmici (detti "Taleae").
Un brano consiste quindi di più Colores che si ripetono tutti uguali, all'interno dei quali vi sono più Taleae. In tal modo si da alla musica un'essenza indipendente da quella del testo, che ha da sempre dominato la struttura formale e ritmica di un brano.
Ascoltiamo un brano di uno dei maggiori esponenti dell'Ars nova francese, Philippe de Vitry (1291 - 1361).
La Sonata si sviluppa principalmente in Italia, durante il periodo Barocco, ed indica inizialmente un pezzo strumentale generico. Deriva da una forma cinquecentesca chiamata "Canzona Sonata" o "Canzona da sonar", che era la trascrizione strumentale della forma vocale "Chanson".
Durante il periodo barocco si vengono a formare prevalentemente sue tipi di sonata, distinti nel nome e nell'ambito di esecuzione, ma di contenuto intercambiabile: la Sonata da Camera e la Sonata da Chiesa, per ensemble d'archi.
I nomi stessi ci indicano la differenza principale tra i due generi. Sono entrambi composti da più brani che nella Sonata da Camera derivano da tempi di danze, e ne ereditano il nome, mentre in quella da Chiesa prendono il nome dell'indicazione di tempo all'inizio dello spartito: Allegro, Adagio, Andante....fondamentalmente perché in chiesa non si balla!
Capita però di trovare esempi di Sonate da Camera che includono un Allegro che non è una danza, o di Sonate da Chiesa che si concludono con una Giga.
Entrambe le forme prevedono l'uso del basso continuo affidato all'organo per quelle da chiesa, al clavicembalo per quelle da camera.
Un'altra variante della Sonata è quella detta "a Solo", in cui la formazione prevista è quella dello strumento solista eventualmente accompagnato dal basso continuo.
Le Sonate di Domenico Scarlatti (1685 - 1757) costituiscono un caso a parte. Grazie all'isolamento geografico (ha vissuto principalmente in Spagna, lavorando come maestro di una principessa, lontano dagli stimoli italiani, tedeschi e francesi) sviluppa una forma sua peculiare, che non ha precedenti ne eredi, nasce e muore con lui.
Le sue Sonate, scritte per clavicembalo, sono in un unico tempo e bipartite, spesso anche bitematiche, sempre ritornellate. Questo tipo di struttura strizza l'occhio alla struttura classica del primo tempo di sonata, bitematico tripartito. Le sue Sonate espongono un tema nella prima parte modulando alla dominante; nella seconda parte vi è uno sviluppo del tema che attraverso ricchi giri di modulazioni torna al tono d'imposto o addirittura un secondo tema, costruito con materiale nuovo. Scrive di solito a due voci, che alternano momenti di omoritmia con parti in cui si rincorrono.
Il tutto condito da veloci scale alternate ad accordi, effetti di eco, passaggi difficili, scambio di mani, intervalli ampi e altre difficoltà legate agli strumenti a tastiera.
Vengono eseguite spesso alla chitarra: è innegabile infatti una certa influenza di questo strumento e del suo repertorio nella produzione di Scarlatti.
L'Oratorio è un genere musicale sacro non liturgico che si sviluppa a Roma nel corso del XVII secolo. Nel fervore religioso post-Controriforma, i fedeli avevano preso l'abitudine di incontrarsi presso gli oratori delle grandi cattedrali romane per pregare. I canti eseguiti in queste occasioni sono le Laudi, di solito mottetti con testo preso dalle Sacre Scritture e musica spesso "riciclata" da brani di uso popolare e destinazione profana. Questi semplici brani indipendenti diventano presto sequenze più complesse, accomunate dall'argomento trattato, fino ad arrivare ad vero e proprio racconto drammatico di vicende legate ai momenti salienti della vita di Cristo, l'Oratorio. È una forma per coro, orchestra, solisti ed un narratore, che alterna brani di vario genere: recitativi, arie, corali, pezzi strumentali e d'insieme, e che tratta appunto di vicende tratte dal Vangelo. La funzione principale dell'Oratorio è quella di educare i fedeli e allo stesso tempo di intrattenerli in modo sobrio, in contrapposizione col tipo di intrattenimento rappresentato dal teatro musicale, nato anch'esso in questo periodo. La struttura di queste due forme è infatti straordinariamente simile. Detto in parole povere, l'Oratorio non è altro che la versione sacra dell'Opera. La differenza fondamentale tra questi due generi sta, oltre che nei temi trattati, nel fatto che l'Oratorio veniva rappresentato senza scenografie e costumi, all'interno di uno spazio collegato alle grandi cattedrali romane (non in teatro!) e nei periodi del Natale e della Quaresima, quando i teatri destinati alla rappresentazione di Opere erano chiusi. Nonostante ciò, alcuni oratori come la Theodora di Händel sono stati rappresentati ai nostri giorni anche in teatro, aggiungendo costumi e scenografie. Il padre dell'Oratorio è Giacomo Carissimi (1605 - 1674). Dei 35 Oratori che ha composto, "Jephte" a 6 voci è il massimo capolavoro, delicato ed elegante, di gusto rinascimentale. Il testo è tratto dal Libro dei Giudici e narra della storia di Iefte, condottiero degli Israeliti, che, per propiziarsi la vittoria sugli Ammoniti, fa voto di sacrificare a Dio la prima persona che gli verrà incontro dopo la vittoria. Questa è, per un gioco della crudele sorte, la sua unica figlia.
È diviso in tre parti: la battaglia, la festa per la vittoria e il tragico finale, ciascuna parte con carattere musicale particolare, secondo l'uso del tempo (ricordate i madrigalismi?). La struttura è:
I. Cum vocasset in proelium
II. Cum autem victor Jephte
III. Cum vidisset Jephte
IV. Abiil ergo in montes filia Jephte
V. Plorate filii Israel
testo tradotto:
Narratore: Poiché il re dei figli di Ammon aveva sfidato in battaglia i figli di Israele e non aveva voluto prestar fede alle parole di Iefte, lo Spirito del Signore si posò su Iefte e, dopo aver marciato contro i figli di Ammon, fece un voto al Signore dicendo:
Iefte: Se il Signore avrà consegnato nelle mie mani i figli di Ammon, chiunque mi verrà incontro per primo uscendo dalla mia casa, offrirò lui al Signore in olocausto.
Narratore: Si mosse dunque Iefte contro i figli di Ammon, per combattere con la forza dello Spirito e la potenza del Signore contro di essi; e squillavano le trombe, e risuonavano i timpani, e la battaglia fu ingaggiata contro Ammon.
Basso: Fuggite, ritiratevi, empi, perite, genti; soccombete con la spada in mano, il Signore degli eserciti si è levato in battaglia e combatte contro di voi.
Coro: Fuggite, ritiratevi, empi, andate in rovina e nel furore delle armi siate dispersi.
Soprano: E Iefte colpì venti città di Ammon con un colpo troppo forte.
Coro: E in mezzo agli ululati i figli di Ammon furono umiliati davanti ai figli di Israele.
Narratore: Mentre però Iefte ritornava vincitore nella sua casa, correndogli incontro la sua figlia unigenita cantava con timpani e danze:
Figlia di Iefte: Inneggiate con i timpani
e salmodiate sui cembali, un inno cantiamo al Signore e mettiamo in musica un cantico. Lodiamo il Re celeste,
lodiamo il Principe della guerra, che ha reso vincitore il condottiero dei figli di Israele.
Compagne: Cantiamo un inno al Signore
e mettiamo in musica un cantico per Lui, che ha dato a noi la gloria e a Israele la vittoria.
Figlia di Iefte: Cantate con me al Signore, cantate popoli tutti, lodate il Principe della guerra, che ha dato a noi la gloria e a Israele la vittoria.
Compagne: Cantiamo tutte al Signore, cantate popoli tutti, lodiamo il Principe della guerra, che ha dato a noi la gloria e a Israele la vittoria.
Narratore: Quando Iefte, che aveva fatto il voto al Signore, vide sua figlia che gli veniva incontro, per il dolore e le lacrime si stracciò le vesti e disse:
Iefte: Ahimè, figlia mia! Ahimè, m'hai tratto in inganno, figlia unigenita; anche tu parimenti, ahimè, figlia mia, sei stata ingannata.
Figlia di Iefte: Perché io te, padre, ho tratto in inganno, e perché io, figlia tua unigenita, sono stata ingannata?
Iefte: Ho fatto la mia promessa solenne al Signore che chiunque mi fosse venuto incontro per primo uscendo dalla mia casa, avrei offerto lui al Signore in olocausto. Ahimè, mi hai tratto in inganno, figlia unigenita; anche tu parimenti, ahimè, figlia mia, sei stata ingannata.
Figlia di Iefte: Padre mio, se hai fatto un voto al Signore, ritornato vincitore dei nemici, ecco sono la tua figlia unigenita: offri me in olocausto per la tua vittoria. Questo solamente, padre mio, concedi alla tua figlia unigenita prima che io muoia...
Iefte: Che cosa potrà consolare la tua anima, che cosa potrà consolare te, figlia destinata alla morte?
Figlia di Iefte: Lasciami andare, affinché per due mesi io me ne vada in giro per i monti, affinché con le mie compagne pianga la mia verginità.
Iefte: Va' figlia, va' figlia mia unigenita, e piangi la tua verginità.
Narratore: Andò via allora sui monti la figlia di Iefte e piangeva con le compagne la sua verginità, dicendo:
Figlia di Iefte: Piangete colli, piangete monti, e per l'afflizione del mio cuore ululate.
Eco: Ululate.
Figlia di Iefte: Ecco, morirò vergine e non potrò per la mia morte esser consolata dai miei figli. Gemete selve, fonti e fiumi, lacrimate per la morte d'una vergine.
Eco: Lacrimate.
Figlia di Iefte: Ahimè, quale sofferenza insieme alla letizia del popolo, alla vittoria di Israele e alla gloria di mio padre; io vergine senza figli, io figlia unigenita morirò e non vivrò! Inorridite rupi, stupite colli, valli e caverne di orribile suono riecheggiate.
Eco: Riecheggiate.
Figlia di Iefte: Piangete, figli di Israele, piangete la mia verginità, e per la figlia di Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.
Coro: Piangete, figli di Israele, piangete vergini tutte, e per la figlia di Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.
Intorno a metà Settecento, in un periodo detto Rococò o dello Stile Galante (il momento di passaggio da Barocco a Classicismo), si sviluppano le caratteristiche stilistiche e formali dell'Età classica.
La Sinfonia, il Concerto, la Sonata e il Quartetto vengono definite in questo periodo.
Il periodo classico è caratterizzato, oltre che dalla "scoperta" delle qualità timbriche e tecniche del pianoforte, nato ad inizio Settecento ma snobbato dai grandi maestri del Barocco, soprattutto da un riavvicinamento formale dei generi strumentali. Questo significa che, mentre nel periodo precedente vi era una forma per ogni genere (il Concerto Grosso ha una struttura diversa dalla Suite, o dalla Cantata etc), in età classica ogni forma ha (più o meno) la stessa struttura.
Quartetto, Sinfonia, Concerto e Sonata sono tutte quindi in tre o quattro tempi, in ordine: un Allegro in forma-sonata (la firma del periodo classico, si cui ho già parlato), un Adagio in forma ABA, un Minuetto con Trio e da capo (assente nel Concerto) e un Allegro finale, in rondò o forma-sonata o rondò-sonata (che è un rondò con due temi: ABACABA con A e B temi e C sviluppo).
Il Quartetto, in particolare, è per formazione di archi: due violini, una viola ed un violoncello, e deriva dalla Sonata a tre barocca, per archi e basso continuo.
Il merito di aver sviluppato questa forma è in particolare di due grandi Maestri: Luigi Boccherini (1743 - 1805) e Franz Joseph Haydn (1732 - 1809), che hanno equilibrato le quattro voci, liberandole dall'egemonia del primo violino. Haydn, in particolare, sviluppa i rapporti tra gli strumenti inventando uno stile che Goethe definirà "di conversazione": l'ascolto dei suoi quartetti sembra infatti " una conversazione tra quattro persone ragionevoli".
Ho scelto il quartetto op. 76 n° 2, detto "Quinte" perché inizia proprio con delle quinte perfette discendenti.
La struttura è quella classica del Quartetto:
I. Allegro
II. Andante o più tosto allegretto
III. Minuetto. Allegro ma non troppo
IV. Vivace assai
Il primo e quarto movimento sono in forma-sonata, il secondo è tripartito. Il terzo, che è il più interessante dei quattro, è un Minuetto con Trio. Il Minuetto è detto "Minuetto delle streghe" ed è un canone a due voci, in cui il violoncello e la viola eseguono ad ottava lo stesso tema proposto dai due violini (sempre ad ottava) con una battuta di ritardo. Bellissimo!