Nel 1894 si esegue per la prima volta il poema sinfonico "Prélude à l'après-midi d'un faune" (Preludio al pomeriggio di un fauno) di Claude Debussy (1862 - 1918).
Per la stesura di questa opera il compositore si ispirò al poema di Stéphane Mallarmé "L'après-midi d'un faune". Fu concepita inizialmente, infatti, come sottofondo musicale a questa opera letteraria, e doveva comprendere più movimenti di respiro più ampio. Lo spettacolo però, non andò mai in scena, e la musica non fu mai completata, spingendo Debussy a dare una forma finita al solo Prélude.
Il poema narra di un fauno, che risvegliatisi da un sonnellino pomeridiano, rievoca un sensuale incontro mattutino con delle ninfe.
La musica rispecchia e amplifica lo spirito sensuale del poema a cui è ispirata, utilizzando come tema principale una melodia cromatica discendente ed ascendente affidata al flauto.
Nel 1912, Il "Prélude" diventa un balletto, grazie al genio sfrontato di Diaghilev e alla coreografia di Nijinsky (gli stessi del "Sacre du printemps" di Stravinsky!).
I movimenti di questo balletto sono lontanissimi dalla danza accademica delle punte e delle piroette: si svolgono principalmente nella fascia più vicina al pubblico del palcoscenico, in linee rette e quasi in due dimensioni, richiamando la linee degli antichi vasi greci. Il fauno, in particolare, assume sempre posizioni molto "spigolose", con le caratteristiche gambe e braccia piegate, e le mani aperte in posizione rigida.
L'elemento straordinario, e scandaloso per l'epoca, di questo breve balletto (poco più di 10 minuti!) è senza dubbio la storia narrata, soprattutto nel finale.
Distaccandosi infatti, dal poema di Mallarmé, il fauno di Diaghilev non riesce a conquistare le ninfe e conclude il suo pomeriggio con un evidente atto di autoerotismo con il velo di una di loro.
Scandaloso!
Vi lascio all'interpretazione di Rudolf Nureyev, e all'immaginazione di cosa possa essere successo tra il pubblico durante la prima, dopo aver assistito al primo atto di autoerotismo in scena.
Il sistema musicale greco si basava su Modi, ovvero scale discendenti di quattro suoni, accoppiate in diverse combinazioni dette Harmoniai. Ciascuna di esse portava il nome di una popolazione della penisola ellenica e comprendeva, oltre alla successione di particolari intervalli su cui si basava tutto il sistema del popolo corrispondente, anche le sue tradizioni, prassi esecutive e motivi tipici.
I Modi greci, organizzati in Harmoniai, erano i seguenti:
I Greci ritenevano che la Musica potesse influenzare i comportamenti e lo spirito di ogni essere vivente, e su questa base elaborarono la cosiddetta "Teoria dell'Ethos", per cui a ciascun Modo e Harmonia veniva associato un diverso effetto sull'uomo (proprietà terapeutiche comprese).
Proprio per questo suo grande potere, i grandi filosofi ritenevano che dovesse avere un ruolo centrale all'interno della società e nell'educazione dei futuri cittadini. Secondo Platone, ad esempio, si doveva fare musica solo nei Modi che portavano l'uomo a moderazione, serietà e compostezza, eliminando tutte le musiche scritte negli altri Modi, in particolare quelli amplificano l'emotività e portano alla sfrenatezza e all'estasi orgiastica ("catarsi alliopatica"). Secondo Aristotele, invece, anche questi ultimi Modi erano importanti, perché permettevano all'uomo di liberarsi delle negatività ("catarsi omeopatica").
La dualità individuata dai grandi filosofi, rappresentata da moderazione e compostezza da una parte, sfrenatezza e ed estasi orgiastica dall'altra, era presente in molti aspetti della cultura greca.
Nella religiosità, che contrapponeva la religione olimpica, quella ufficiale, in cui uomini e Dei erano nettamente separati, a quella dionisiaca, che ammetteva il contatto uomo-Dio attraverso riti in cui l'invasamento estatico rappresentava il protagonista.
Negli strumenti musicali, in cui questi due poli opposti erano simboleggiati dalla Lyra, strumento a corda usato spesso come accompagnamento alla voce, e quindi alla parola, da cui l'associazione alla razionalità, e dall'Aulos, un doppio strumento a fiato ad ancia doppia simile al nostro oboe, collegato all'istinto ed alle potenze irrazionali.
Paradossalmente i miti che illustrano l'origine di questi due strumenti associano l'introduzione della Lyra ad Hermes, Dio dei sogni e quindi dell'irrazionale, e dell'Aulos ad Atena, dea dell'intelligenza e della saggezza. Esattamente il contrario di quanto ci saremmo aspettati!
Atena che suona l'Aulos
La Lyra
Un altro punto su cui i grandi filosofi si trovavano d'accordo era il vietare la Musica come professione, poiché il professionismo all'interno della loro società rappresentava una condizione servile. La Musica veniva quindi caldamente raccomandata, ma solo come occupazione nel tempo libero di un giovano colto.
Questa visione del professionismo musicale è sopravvissuta sorprendentemente a lungo nei secoli (e in parte permane ancora oggi, purtroppo).
In questa concezione si trova la spiegazione del fatto che sono giunti fino a noi moltissimi scritti teorici sulla Musica, mentre per quanto riguarda la sua pratica sono sopravvissuti solo un numero ridicolo di frammenti.
La vera Musica era considerata solo ed unicamente quella teorica, basata sul numero e legata al moto degli astri e alla struttura dell'Universo. La Musica suonata, in quanto pallido riflesso di quest'ultima, non era degna di essere tramandata.
Dai pochi frammenti giunti fino a noi è stato però per fortuna possibile capire quali fossero le principali caratteristiche della pratica musicale greca.
La notazione vocale utilizzava alfabeto greco maiuscolo, quella strumentale segni dritti, inclinati e capovolti derivati dall'alfabeto fenicio.
Le melodie si sviluppavano nell'ambito di un'ottava e vertevano sugli intervalli considerati consonanti: l'unisono, l'ottava, la quarta e la quinta. Era su uno di questi intervalli, infatti, che la melodia si fermava nei punti nevralgici di un testo. Il ritmo era dettato sia dalla musicalità della lingua che da schemi ritmici preordinati detti "piedi".
Voce e strumenti cantavano all'unisono, come pure nei cori.
A conclusione, completiamo il quadro ascoltando uno di questi frammenti sopravvissuti.
In particolare, il più antico brano musicale completo giunto fino a noi.
Mentre lo ascoltate, riflettete sul fatto che questa musica risale al I secolo a.C...
Oggi poche parole su un capolavoro che mi ha proposto stamattina Rete Toscana Classica mentre guidavo: la Sinfonia n. 6 di Antonin Dvorak (1841 - 1904), uno dei miei autori preferiti.
A questa, come tutte le sinfonie di Dvorak, sono associati numeri diversi: per il suo editore corrisponde alla numero 1, in quanto è stata la prima ad essere stampata, per noi che seguiamo l'ordine cronologico è la numero 6, per l'autore la 5, perché credeva di aver perso la prima (poi ritrovata).
In un periodo in cui si stavano riscoprendo le identità nazionali in tutti i campi dell'arte, Dvorak scrive questa perla (che somiglia alla Sinfonia n. 2 di Brahms) in stile romantico tedesco, con diversi elementi della cultura ceca, in particolare, richiami a canti e musiche popolari.
La Sinfonia è composta di 4 movimenti, secondo lo stile classico:
Allegro non tanto
Adagio
Scherzo (Furiant), Presto
Finale, Allegro con spirito
Il primo movimento è in forma-sonata, secondo la tradizione. Il secondo è in forma di Rondò mentre il terzo incorpora una Furiant, danza ceca ternaria veloce con frequenti spostamenti di accento che fanno sembrare che il tempo muti in continuazione da binario a ternario.
Il quarto movimento è anch'esso in forma-sonata.
Le melodie di Dvorak sono sempre bellissime e di grande effetto, spesso presentate dai legni e dagli ottoni (basti pensare alla celeberrima nona Sinfonia, "Dal nuovo mondo").
A seguire, quarantadue minuti di estasi.
Abbiamo già parlato dell'Oratorio, una forma nata ad inizio Seicento, il cui grande Maestro sviluppatore fu Giacomo Carissimi (1605 - 1674).
Nato nello stesso periodo del Teatro in Musica, ovvero l'Opera, come noi oggi la chiamiamo, si contrappone quasi ad essa, proponendo storie dall'alto contenuto morale volte all'educazione dei fedeli e rappresentate nella sobrietà degli oratori (ambienti annessi alle chiese) senza costumi e scenografie.
In realtà è incredibile quanto questi due generi, seppur destinati ad usi e prassi esecutive diverse, siano simili.
Innanzitutto, per quanto riguarda la struttura, che è esattamente la stessa: una sequenza di arie e recitativi, eseguiti a turno dal coro e dai solisti, e di brani strumentali.
Oltre a ciò, alcuni Oratori hanno una carica drammatica tale da poter benissimo essere scambiati per Opere, se ascoltati ad occhi chiusi. La drammaticità è infatti un po' stemperata dal fatto che l'esecutore non recita e non è in costume, ma è parimenti presente e forte.
Alcuni geniali registi, hanno avuto la brillante idea di mettere in scena degli Oratori ed il risultato ottenuto è strabiliante.
Vorrei proporre due arie da due diversi lavori di Georg Friedrich Händel (1685 - 1759).
Quale delle due è estratta da un'Opera e quale da un Oratorio?
Cercate di non barare! Ci sono tre segni che non vi possono far sbagliare.
La prima aria è estratta da un'Opera, la seconda da un Oratorio.
I tre indizi fondamentali sono che l'Opera di Händel è in stile italiano e quindi cantata in italiano, mentre l'Oratorio è nella lingua nazionale o in latino: in inglese in questo caso, in tedesco per Bach e così via; che in ambiente operistico si usava far cantare le parti alle voci (principalmente maschili) acute, indipendentemente dal ruolo che esse interpretavano, ed erano usatissimi i castrati (quello del video non è castrato, bensì controtenore) mentre nell'Oratorio si sfruttano le consuete quattro voci di soprano, contralto o mezzosoprano, tenore, baritono o basso; che l'Opera tratta di argomenti mitologici o storici mentre l'Oratorio ha contenuti biblici.
Il Lied è una forma musicale presente nella storia della Musica sin dal medioevo, che ha attraversato variazioni di struttura e momenti più o meno fortunati. Comunemente, parlando di Lied, ci si riferisce in particolare alla forma sviluppatisi durante il Romanticismo.
Di solito ci si riferisce al Lied come una composizione per voce solista e pianoforte, il grande protagonista dell'epoca romantica, ma sono frequenti Lieder per più voci o completamente strumentali, come i celeberrimi (e bellissimi) Lied ohne Worte (Lied senza parole) di Felix Mendelssohn.
È una forma di espressione musicale e poetica molto intima, la cui esecuzione avveniva all'interno di salotti e circoli letterari. Non a caso, il primo grande compositore di Lieder fu Franz Schubert (1797 - 1828). Le sue composizioni venivano eseguite esclusivamente in salotti, durante manifestazioni dette "Schubertiadi". La Vienna pubblica conobbe il compositore solamente nel suo anno di morte, grazie ad un concerto pubblico organizzato dai suoi amici e stimatori.
I testi scelti per i Lieder sono di alta levatura letteraria; tra gli autori vi sono, per dirne alcuni, Goethe, Schiller, Heine.
Ed è proprio di Schubert il Lied che volevo proporre: Gretchen am Spinnrade, ovvero Margherita all'arcolaio.
Il testo è tratto dal Faust di Goethe, ed è proposto in forma di Rondò.
Margherita canta da sola mentre sta filando all'arcolaio, ripensando a Faust e alle promesse che le ha fatto.
È un brano estremamente descrittivo e di straordinaria bellezza, in cui l'autore trasmette in modo estremamente efficace le emozioni di Margherita, attraverso il canto frammentato e la linea della mano sinistra. Alla mano destra sono invece affidati cicli di sestine, che richiamano il rumore dell'arcolaio.
Henry Purcell (1659 - 1695) è uno tra i più grandi compositori britannici nella storia della musica.
Viene in particolare ricordato per le composizioni dedicate al teatro, tra le quali spicca il capolavoro "Dido and Aeneas"(1688), opera in tre atti, composta per un collegio femminile.
La storia, tratta dalla celeberrima Eneide di Virgilio, è incentrata sull'amore di Didone per Enea e la sua disperazione quando questi la abbandona.
L'aria che volevo proporre "When I am laid in earth", detta anche "Dido's lament", è il momento in cui Didone disperata rivolge alla sorella e ancella Belinda le sue ultime parole, quasi un testamento:
When I am laid, am laid in earth, may my wrongs create
No trouble, no trouble in thy breast;
Remember me, remember me, but ah! forget my fate.
Remember me, but ah! forget my fate.
Il brano è strutturato come una ciaccona o passacaglia: un frammento di linea di basso si ripete per tutta la durata dell'aria, per un totale di undici volte.
Come si può vedere dallo spartito, incorporato nel video, questa linea è fortemente cromatica, per sottolineare il dolore e la sofferenza.
Il cromatismo viene spessissimo usato, in particolare nel tardo Rinascimento e Barocco, proprio per sottolineare questi aspetti e trasmettere questo genere di stato d'animo, ed è tipico di questo genere di arie detto "Lamento".
Questo in particolare è di una semplicità estrema e fortemente suggestivo.
La Lauda è una forma vocale sacra non liturgica in volgare, sviluppatisi in Italia (più precisamente in Toscana e Umbria) in corrispondenza della nascita dei nuovi movimenti religiosi che poi diventeranno i Francescani, Domenicani e altri.
L'avvento di queste nuove congregazioni porta ad una crescita del sentimento religioso che coinvolge tutti i ceti. I canti in volgare diventano quindi il mezzo di comunicazione preferito, essendo molto più comprensibili di quelli in latino, eseguiti durante la liturgia.
Questo tipo di canto, detto appunto Lauda, viene dapprima tramandato oralmente ed è in stile monodico. Col passare degli anni si inizia a raccoglierli in "Laudari", alcuni dei quali giunti fino a noi (il più antico: Laudario di Cortona, seconda metà del XIII secolo), e diventano polifonici. Continueranno ad essere eseguiti fin nel Rinascimento, e ritroveranno vigore nel periodo della Controriforma, fino all'avvento dell'Oratorio, che li soppianterà.
La forma è strofica, con momenti corali alternati ad interventi solistici.
Per fare un illustre esempio, il "Cantico delle creature" di San Francesco d'Assisi fa parte di questo genere.
La Lauda che volevo proporre si trova proprio raccolta del Laudario di Cortona, in una versione polifonica piuttosto suggestiva.