lunedì 13 gennaio 2014

Francesca da Rimini - a David Querci

Autunno 1876. Pëtr Il'ič Čajkovskij, trentaseienne, sta viaggiando in treno verso Bayreuth per assistere alla prima de "L'Anello dei Nibelunghi", di Wagner, il cui stile non condivide affatto (Wagner, nato lo stesso anno di Verdi, porterà la rivoluzione nell'opera, ponendo le basi per l'atonalità che si svilupperà più concretamente nella prima metà del Novecento). Durante il lungo viaggio, legge il V canto dell'Inferno di Dante e rimane folgorato dalla vicenda di Paolo e Francesca. Il testo lo ha toccato così profondamente, che al suo ritorno inizia la stesura di una fantasia ad esso ispirata. Dopo solo tre settimane, la partitura è completa, e pronta per la prima esecuzione, che avverrà a Mosca nel febbraio 1877.
La fantasia è tripartita, in forma ABA, ed è preceduta dalla citazione dei versi del V canto e da una breve spiegazione di Čajkovskij stesso. La prima sezione descrive l'atmosfera infernale del secondo cerchio dell'inferno e il vento che trascina senza sosta le anime dannate dei lussuriosi. L'effetto è reso in particolare dagli accordi degli ottoni e dalle continue scale martellanti e veloci di violini e fiati, oltre che dalle numerose dissonanze, di chiaro riferimento a Liszt (anch'egli scrive una sinfonia ispirata alla poesia di Dante) e in parte, paradossalmente, anche a quel Wagner che a Čajkovskij sta così poco simpatico.
La seconda sezione, annunciata dal solo del clarinetto, che col suono caldo del legno è spesso associato alla voce umana, rappresenta il racconto di Francesca. L'atmosfera cambia radicalmente, un attimo di quiete nel caos infernale. Ed è proprio in questa sezione centrale che Čajkovskij dà sfogo alla grande sensibilità e creatività espressiva che lo caratterizza, creando un tema che ritornerà più volte, orchestrato sempre in modo diverso, fino al culmine, in cui è affidato alla sezione degli archi all'unisono.
L'idillio è però condannato a rompersi: attraverso una sapiente dissolvenza Čajkovskij ci fa ripiombare nel caos infernale, ricollegandosi alla sezione iniziale. Dopo un continuo susseguirsi di insistenti scale discendenti, la fantasia si conclude con un accordo dissonante ripetuto nove volte (quanti sono i livelli dell'inferno), prima di quello conclusivo.
Čajkovskij provava una palese empatia con la vicenda di Paolo e Francesca (si evince chiaramente dalla partitura) e per gli amori infelici in generale (un altro suo capolavoro è un'ouverture ispirata a Romeo e Giulietta). È emblematico il fatto che sia stato proprio l'amore la causa della sua morte: omosessuale, aveva instaurato una relazione con il figlio di un conte che, venutolo a sapere, minacciava di denunciare tutto allo zar. Lo scandalo che ne sarebbe derivato avrebbe avuto conseguenze così gravi e diffuse da spingere Čajkovskij ad una scelta definitiva: il suicidio. Bevve acqua infetta e morì, nove giorni dopo la prima esecuzione della sua sesta sinfonia, detta "Patetica", che racchiude il suo testamento artistico e rappresenta il Requiem per se stesso.


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