giovedì 30 gennaio 2014

La Suite barocca

La Suite barocca è una forma strumentale che si sviluppa durante il XVII secolo. 
È una sequenza di brani, di diverso carattere, che condividono solo la tonalità ed il fatto di essere derivati da danze. Delle danze, è rimasto loro solo il nome. Deriva dalla pratica, durante i balli di corte del Cinquecento, di accoppiare brani di carattere e tempo diverso (si trovano più spesso le combinazioni Pavana-Gagliarda e Passamezzo-Saltarello). 
Inizialmente il tipo e il numero di brani, all'interno di una stessa Suite, era molto variabile. Col tempo va stabilizzandosi una forma fissa, ma sempre molto flessibile, che prevede un nucleo di quattro danze, ognuna riportante delle caratteristiche tipiche di una particolare zona d'Europa:
- l'Allemanda, di origine tedesca, in quattro quarti e in tempo moderato;
- la Corrente, di origine francese, in tempo ternario mosso;
- la Sarabanda, di origine iberica, in tempo binario o ternario lento;
- la Giga, di origine irlandese o italiana, in tempo composto, veloce.
Questa struttura può essere variata sostituendo o inserendo altri tipi di danza. Il Minuetto (origine francese, inventato da Giovan Battista Lulli), il Passepied, la Gavotta, la Siciliana, la Bourrée, sono alcuni esempi di danze che si possono trovare inseriti tra la Sarabanda e la Giga. La Passacaglia e la Ciaccona si trovano invece, se presenti, come ultimo brano.
Si può trovare, come primo brano, un Preludio o una forma simile (presente spesso nelle Suites di Bach).
Un perfetto esempio di Suite, con struttura canonica, è quella che vorrei proporvi, composta da Georg Friedrich Händel (1785 - 1659).
E a proposito di jazzisti, ho scelto l'interpretazione del grandissimo Keith Jarrett, al pianoforte anziché al clavicembalo, strumento per il quale sono state scritte originariamente queste Suites. Ma la sua interpretazione è bellissima, ed il pianoforte risulta estremamente più godibile, al nostro orecchio, del suo antico collega clavicembalo.


martedì 28 gennaio 2014

Il Concerto Barocco

Il Concerto Barocco è una forma strumentale sviluppatisi in Italia attorno ai primi anni del XVIII secolo. È una composizione imperniata totalmente sul contrasto: alterna sezioni in cui suona tutto l'organico (detto Tutti o Concerto Grosso) a parti in cui suona solo una piccola parte degli strumentisti (Concertino) o uno unico (Solo). È quindi caratterizzato dall'opposizione tutti-pochi, forte-piano.
È una forma in 3 tempi, in alternanza veloce-lento-veloce, in cui il contrasto è presente solo nelle sezioni veloci (quindi il primo e terzo tempo). Nel secondo tempo, il Concertino o il Solo suona accompagnato unicamente dal basso continuo, eseguito da uno strumento a tastiera (l'organo, se si tratta di un concerto da chiesa, dal clavicembalo se da camera).
Da questa forma si sono poi sviluppate con struttura simile, ma caratteri diversi, il Concerto Grosso, in cui le sezioni di Tutti sono alternate dall'intervento del Concertino, e il Concerto Solistico, in cui invece interviene il Solo.
La differenza fondamentale tra Concerto Grosso e Solistico, oltre alla presenza o meno del Solo, è che nel primo il Concertino tende ad integrarsi con il Tutti, mentre nel secondo il Solo si pone in totale contrasto.
Il Concerto Grosso nasce a Roma, grazie all'opera di Alessandro Stradella (1639 - 1682) e in seguito di Arcangelo Corelli (1653 - 1713). Il Concerto Solistico, invece, nasce prima a Bologna, con Giuseppe Torelli (1658 - 1709) e si sviluppa a Venezia, con Antonio Vivaldi (1678 - 1741).
La fama di questi due nuovi generi si diffonde in tutta Europa, soprattutto in Germania, e i Concerti italiani diventano il modello di riferimento per i grandi maestri tedeschi.
Per fare un paio di esempi, Georg Friedrich Händel (1685 - 1759), che viene a contatto con queste forme durante il suo soggiorno a Roma nel 1707, e Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) che scrive i suoi 6 Concerti Brandeburghesi in forma di Concerto Grosso.
Quest'ultimo in particolare, studiò moltissimo la forma del Concerto Solistico di Vivaldi, e fu tra i primi ad introdurre come solista il clavicembalo.
La struttura dei movimenti veloci del modello di Vivaldi prevedeva quattro parti di Tutti dette Ritornello, fatte della stessa materia musicale, intervallate da tre parti di Solo, cui avveniva una modulazione.
Uno schema tipico per le tonalità maggiori è:
- Ritornello 1, nel tono d'imposto;
- Solo 1, che modula dal tono d'imposto alla dominante (il V grado);
- Ritornello 2, alla dominante;
- Solo 2, che modula dalla dominante alla relativa minore;
- Ritornello 3, alla relativa minore;
- Solo 3, che modula dalla relativa minore al tono d'imposto;
- Ritornello 4, al tono d'imposto.
Per le tonalità minori, si inverte Ritornello 2 e Solo 2 con Ritornello 3 e Solo 3, e si modula alla relativa maggiore invece che alla minore (ovviamente).
Lo schema del secondo movimento era invece più libero, e prevedeva unicamente l'intervento del Solo accompagnato dal basso continuo.
Vivaldi ha scritto più di 450 concerti, per i quali è ricordato, oltre a diverse opere, sinfonie, messe e sonate.
Vorrei proporre i primi quattro concerti dalla sua raccolta "Il cimento dell'armonia e dell'inventione" per violino, archi e basso continuo del 1725.
Sono celeberrimi e li riconoscerete all'istante, ma vi invito ad ascoltarli con orecchie nuove, ora che sapete realmente cosa sono, e provare ad apprezzarli nella loro forma come se non li aveste mai sentiti.

lunedì 27 gennaio 2014

27 gennaio 1756

Omaggiamo il Genio, nel giorno del suo compleanno, con il quintetto per clarinetto ed archi K581.
Mozart sa decisamente scrivere per i fiati: le sue frasi sono bellissime e semplici, e mai troppo lunghe (cosa fondamentale, se non si vuole essere costretti a spezzare una frase, o finire soffocati).
Il clarinetto, in particolare, era stato inventato da poco, quando questo pezzo è stato scritto. Il Genio ha intuito subito le sue potenzialità, componendo un quintetto in 4 tempi in cui il caldo suono del legno si mescola perfettamente al timbro del quartetto d'archi. Le parti sono equilibrate e l'atmosfera è serena e rilassata. L'esatto contrario di quanto stava accadendo in quel momento al compositore (1789: siamo negli ultimi anni della sua vita, che si concluderà nel 1791), che versava in condizione economiche disperate. 
L'anno della sua morte, scriverà un altro pezzo dedicato a questo "neonato" strumento a fiato, il concerto per clarinetto ed orchestra K 622, che è uno dei più belli del repertorio. Entrambe le composizioni sono scritte in La maggiore, considerata da Mozart la tonalità della luce, e condividono alcuni passaggi e frammenti: i primi movimenti di entrambi iniziano con lo stesso salto di terza discendente, ed i movimenti lenti iniziano entrambi con lo stesso salto di quarta ascendente, per dirne alcuni.
Le citazioni di Mozart a se stesso sono in realtà piuttosto frequenti (ed è un fatto che caratterizza la maggior parte dei compositori della storia). Per fare un esempio, anche il concerto per pianoforte ed orchestra KV 488 è in La maggiore ed inizia con lo stesso intervallo di terza discendente di questo quintetto e del concerto K 622. 



sabato 25 gennaio 2014

Ecco la primavera

Anche se siamo in pieno inverno, mi sembra il giorno perfetto.
È una ballata del Trecento, il periodo in cui in Europa fioriva la cosiddetta "Ars Nova", francese ed italiana. È un momento caratterizzato da una forte produzione di musica profana piuttosto che sacra.
In Francia, nelle cui grandi cattedrali si era sviluppata la polifonia sacra, si manifesta attraverso la composizione di mottetti a 3 o 4 voci in cui la musica è scorrelata dal testo, con una struttura a moduli ritmici e melodici che si ripetono. In Italia, invece, nel brodo culturale caratterizzato dal Dolce Stil Novo e dalle pitture di Giotto, si sviluppano canti profani molto più semplici come il Madrigale (del Trecento), la Caccia e la Ballata.
La polifonia in Italia arriva tardivamente, rispetto alla Francia dove era nata, quindi le composizioni italiane superano di rado le 2 voci. In particolare la Ballata, la forma più matura dell'Ars Nova italiana, era di solito composta da una quartina, la Ripresa, due coppie di versi con musica diversa, i Piedi, una Volta con stessa musica e stesso schema metrico della prima quartina, ed una ripetizione della Ripresa.
Ed è proprio una ballata, quella che volevo proporre, che segue esattamente questo schema. L'autore, Francesco Landini (1325 - 1397), è il massimo esponente dell'Ars Nova italiana.

testo:

 Ecco la Primavera
che 'l cor fa rallegrare.
Temp'è d'innamorare
e star con lieta cera.

Noi veggiam l'aria e 'l tempo
che pur chiam' allegrezza.

In questo vago tempo 
ogni cosa ha vaghezza.

L’erbe con gran freschezza 
e fior copron i prati
e gli alberi adornati 
sono in simil manera.


 Ecco la Primavera
che 'l cor fa rallegrare.
Temp'è d'innamorare
e star con lieta cera.




venerdì 24 gennaio 2014

Origine della notazione musicale

L'invenzione della scrittura musicale nasce nell'ambito della musica sacra nei secoli successivi al IX. Fino a quegli anni, infatti, in Europa vi erano una moltitudine di tradizioni liturgiche diverse, che condividevano la matrice ebraica. I primi cristiani, che erano ebrei convertiti, si erano infatti sparsi in tutta Europa in seguito alla conquista e saccheggio di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d.C., fondendo le loro tradizioni liturgiche con quelle autoctone e creando così, un mosaico di tradizioni diverse.
Con l'alleanza del papato con la dinastia carolingia, si rende necessaria una unificazione del rito su tutto il territorio di influenza. Il nuovo repertorio unificato viene, secondo la leggenda, compilato da papa Gregorio Magno, sotto diretta dettatura dello Spirito Santo. La realtà dei fatti è ovviamente molto diversa: la figura di Gregorio è stata usata più che altro per rendere divina e indiscutibile l'unificazione. Sappiamo infatti, che parte del repertorio è stata definita dopo la morte del pontefice.
Il canto liturgico diventa, come la Bibbia, patrimonio che deve essere tramandato fedelmente.
Scompare così la componente improvvisativa che ha caratterizzato i canti fino a quel momento, e i cantori si trovano costretti ad imparare a memoria tutto il repertorio (nelle Scholae Cantorum, il ciclo di studi durava in media 10 anni!). Così si prende l'abitudine, in modo originale in ogni centro monastico, di scrivere dei segni, detti Neumi, sopra alle sillabe da cantare (come aiuto mnemonico).
I primi canti ad essere corredati di neumi sono quelli di più rara esecuzione. Ma presto si passa a segnarli su tutto il repertorio, in modo sempre più particolareggiato. Tanto da arrivare a riempire completamente gli spazi tra una riga e l'altra di testo e addirittura sforare nel margine destro.
Il passo successivo viene fatto dai monaci copisti, che per permettere ai cantori di segnarsi i propri neumi, prendono l'abitudine, nella copiatura di un libro, di lasciare una linea vuota tra ogni riga di testo.
La linea a secco tirata dal copista e lasciata ai cantori diventa così il primo riferimento per indicare l'altezza relativa delle note di un canto.
È qui che entra in gioco l'operato di Guido d'Arezzo (991 - 1033), monaco e trattatista (il primo nella storia che si occupa di problematiche legate alla pratica musicale, piuttosto che alla teoria), che propone in un suo testo l'uso di una notazione musicale unica che verrà adottata universalmente dal XI secolo in poi.
Egli introduce l'uso del tetragramma, un sistema di quattro righe parallele in cui poter indicare l'altezza relativa delle note di un canto. Per determinarne, invece, l'altezza assoluta, il monaco propone due soluzioni: quella di colorare le due righe corrispondenti al fa (rosso) e al do (giallo), in modo da poter individuare velocemente il semitono, e quella di porre una chiave in corrispondenza di un rigo, che identifichi una particolare nota. Da questo secondo metodo, si sono sviluppate le moderne chiavi musicali, che usiamo tutt'ora. 

L'evoluzione delle chiavi musicali e il tetragramma
Guido d'Arezzo introduce anche altre innovazioni, volte ad aiutare i cantori nell'imparare il repertorio, tra cui il sistema mnemotecnico della cosiddetta Mano Guidoniana ed un metodo per la lettura a prima vista da cui derivano i nomi delle note che usiamo anche adesso, detto Solmisazione. Questo utilizza le prime sillabe e le rispettive note dell'inno a San Giovanni "Ut queant laxis", che era perfettamente noto ad ogni cantore (San Giovanni era il loro protettore), ottenendo una scala ascendente di sei suoni (il settimo, si da Sancte Ioannes, verrà introdotto successivamente). Il nome della prima nota, ut, viene trasformato nel nostro do nei secoli successivi, a causa della poca cantabilità. 


Così nascono i nomi delle note, le chiavi e la notazione musicale delle altezze. Per quando riguarda la notazione ritmica, bisogna aspettare ancora un secolo. Il ritmo era infatti dettato dalla musicalità intrinseca della lingua latina. 


giovedì 23 gennaio 2014

Le Sacre du printemps

Igor Stravinskij (1882 - 1971) scrive questa perla per la compagnia di balletti russi diretta da Sergeij Diaghilev, un genio visionario, con la collaborazione del pittore e scenografo Nikolaj Roerich. La coreografia originale, riproposta nella versione che ho trovato su YouTube della rappresentazione in occasione del centenario della prima esecuzione (1913), è di Nijinskij, uno dei ballerini più dotati della storia, genio visionario come Diaghilev (e suo amante).
Con questo balletto, Stravinskij rappresenta un grande rito sacro di una antica civiltà russa in cui si propizia l'arrivo della primavera attraverso un sacrificio umano. Una ragazza verrà scelta per danzare fino alla morte. 
Una visione trasgressiva e violenta, per niente affine all'universo ottocentesco delle emozioni romantiche.
Ogni parte di questo balletto richiama forze selvagge e primordiali e sconvolge tutti i canoni della bellezza: i ballerini assumono posture grottesche (si noti in particolare la posizione dei piedi e l'effetto "gobba") e si dimenano come morsi da un serpente velenoso. I costumi sono tuniche, in contrapposizione con l'abbigliamento da danza accademico e la musica è ruvida, l'armonia primitiva. Regna incontrastato il ritmo, che è la spina dorsale dell'intero balletto.
I timbri degli strumenti sono irriconoscibili e sembrano provenire da una dimensione lontana, effetto ottenuto costringendo i fiati a suonare in tessiture a dir poco imbarazzanti (il pezzo si apre con il fagotto che suona nel registro sovra-sovra-sovracuto). La composizione è inoltre costellata di frammenti di musiche popolari, funzionali alla resa di un'atmosfera tribale.
Ovviamente la prima fu un fiasco clamoroso, con tanto di spettatori urlanti e fuga di Stravinskij dopo le prime note dell'ouverture. La sua musica però, col tempo, diventò così apprezzata da essere eseguita indipendentemente, come fosse composizione autonoma.
Ad una mente aperta ed attenta, non sfuggirà la cruda bellezza e la genialità assoluta di questo balletto, anche a distanza di cent'anni (più uno) dalla prima esecuzione.


mercoledì 22 gennaio 2014

Viaggi

Felix Mendelssohn (1809 - 1847) nasce in una famiglia più che benestante e di grande cultura (suo nonno è il filosofo Moses Mendelssohn). Vive gli anni della formazione in un ambiente pieno di stimoli (la casa dei Mendelssohn, a Berlino, era frequentata dai più grandi musicisti, filosofi e letterati del tempo) che contribuiscono a far sbocciare il grande talento in campo musicale di cui erano dotati sia lui che la sorella Fanny, un punto di riferimento costante della vita di Mendelssohn.
Fin da giovanissimo, riesce ad affermarsi come esecutore, compositore e direttore d'orchestra. Uno dei suoi più grandi meriti, fu quello di riproporre ai contemporanei la grande musica del passato: pietra miliare della storia della musica è la sua esecuzione del 1829 di una versione ridotta e rivista della Matthäuspassion BWV 244 (Passione secondo Matteo) di Bach, che non veniva eseguita da circa un secolo.
La spensieratezza della sua vita si riflette nella sua stessa musica: le sue composizioni sono sempre piene di serenità, tranquillità e pace, con la grande eccezione del quartetto op. 80, scritto in occasione della morte dell'amata sorella ed ultima grande composizione da lui scritta prima di morire, in cui appare a tratti per la prima volta un sentimento malinconico e doloroso. 
La felicità della sua condizione, soprattutto economica, si percepisce chiaramente nelle sue musiche: si sente proprio che non aveva nessun tipo di preoccupazione! 
La ricchezza della sua famiglia gli permette inoltre di viaggiare molto. E proprio in seguito a due di questi viaggi, scrive la sinfonia n°3 - Scozzese (in seguito ovviamente ad un viaggio in Scozia) e la n°4 - Italiana (in seguito ad un viaggio in Italia). Anche se sono state da lui stesso rimaneggiate più volte nel corso degli anni (soprattutto l'Italiana, mai pubblicata durante la sua vita perché oggetto di continue correzioni), il cuore di queste sinfonie è rimasto intatto ed è fedele rappresentazione dell'atmosfera dei due luoghi oggetto dei viaggi.
La prima volta che le ho ascoltate le ho sentite consecutivamente e sono rimasta stupita dal netto cambiamento di atmosfera tra la fine della Scozzese e l'inizio dell'Italiana.
Per questo, vorrei proporre proprio l'ultimo movimento della n°3 ed il primo della n°4 in successione, come le ascoltai io per la prima volta, per mettere in evidenza l'incredibile sensibilità e talento di Mendelssohn, che è riuscito a dipingere in musica due caratteri così diversi in modo così efficace (ovviamente siete caldamente invitati a sentire tutti e quattro i movimenti di entrambe, dei capolavori).

Dalla fine della Scozzese, in cui veramente ci si sente come una sorta di Braveheart in kilt nelle Highlands, l'inizio dell'Italiana ti catapulta nelle corti sette-ottocentesche, ballando vestito di tutto punto dentro un palazzo dall'architettura elegante.


martedì 21 gennaio 2014

Musica alla corte di Re Sole

XVII secolo: l'Europa sta sperimentando la febbre dell'Opera, nata in Italia ad inizio secolo. La Francia è l'unica eccezione, in cui l'accoglienza è molto più tiepida. Mentre le altre nazioni assorbono e fanno propria la forma di teatro musicale italiano, in territorio francese si fatica ad accettare un tipo di spettacolo che ponga tale importanza alla musica ed al canto, piuttosto che al ballo, come invece era uso nazionale. Dell'Opera italiana, i francesi apprezzano più che altro la componente visiva delle grandi scenografie ed effetti speciali possibili grazie all'uso di macchine teatrali, la spettacolarità dei costumi ed i frequenti cambi di scena. È necessario l'operato di Giovanni Battista Lulli (1632 - 1687), un fiorentino impiantato alla corte di Parigi, che sviluppa il teatro musicale francese fondendo lo stile italiano con la tradizione del balletto (che si è radicata in Francia, ma è stata anch'essa inventata da un italiano. Che ironia!).
Alla corte di Luigi XIV, dove Lulli prestava servizio, gli spettacoli di musica e ballo, con il loro sfarzo e la loro magnificenza, erano più di ogni altra cosa un fortissimo strumento di potere.
Emblematico è il "Ballet de la Nuit", rappresentato nel 1653 quando ancora Luigi XIV non era sul trono, danzato da lui stesso. La storia narra del Sole, che si impone sulla notte, portatore di virtù e valori tra i più alti. Facendo interpretare la parte dell'astro al futuro giovane re, si trasmette un messaggio di potere assoluto.
Vi propongo un frammento dal film "Le Roi danse", in cui si ricostruisce la scena del balletto. Ovviamente, essendo un film, va preso con le dovute accortezze. Nonostante ciò, ritengo che renda bene l'idea della funzione della musica di Lulli, alla corte di Parigi.





lunedì 20 gennaio 2014

Claudio Abbado (26 giugno 1933 – 20 gennaio 2014)

Una delle più belle sinfonie mai scritte, perfetta nella sua incompiutezza, eseguita da una delle migliori orchestre al mondo, diretta da uno dei più grandi direttori di tutti i tempi. Il più grande, secondo me.


domenica 19 gennaio 2014

La luna malinconica bella è nel suo pallor.

Oggi un'aria carinissima, una perla, dall'Anna Bolena di Gaetano Donizetti (1797 - 1848).
È un'aria che fa parte del mio repertorio di "canti da doccia".
Siamo all'inizio dell'opera, Anna è turbata perché sa che suo marito Enrico, è innamorato di un'altra donna. Scambia qualche parola con la sua ancella Giovanna, che è turbata a sua volta, perché è proprio lei la nuova favorita del re e teme che la regina possa aver scoperto qualcosa.
Arriva il momento in cui Anna chiede a Smeton, un paggio, di cantarle qualcosa per rallegrarla. Il paggio, che è segretamente innamorato della regina, canta quest'aria dolcissima e piena di sentimento, che verrà interrotta da Anna, sopraffatta dai ricordi del passato.
I protagonisti delle opere di Donizetti sono spesso donne-eroine, destinate ad una morte violenta o alla pazzia. Per una sorta di legge del contrappasso, a causare la morte di uno dei maggiori compositori del melodramma, che aprirà la strada alla grandezza di Verdi, sarà proprio una malattia mentale.

testo dell'aria:




Deh! Non voler costringere
a finta gioia il viso:
bella è la tua mestizia,
siccome il tuo sorriso.
Cinta di nubi ancora
bella è così l'aurora,
la luna malinconica
bella è nel suo pallor.
Chi pensierosa e tacita starti così ti mira, ti crede
ingenua vergine che il primo amor sospira: ed obliato il serto
onde è il tuo crin coperto, teco sospira, e sembragli esser quel
primo amor.





venerdì 17 gennaio 2014

25 anni

Ho aspettato questa occasione per introdurre il compositore che amo più di tutti nella storia della musica: Johannes Brahms (1833 - 1897). La sua musica mi attraversa, e mette in risonanza ogni fibra del mio corpo.
Il suo talento su scoperto e diffuso da Robert Schumann (1810 - 1856) e dalla moglie Clara, che diventerà sua grandissima amica e confidente fino alla morte (muoiono a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro).
Si pone in continuità con la tradizione classica, tanto da essere indicato come il successore di Beethoven. La Prima sinfonia di Brahms, infatti, è stata definita dal grande direttore d'orchestra Hans von Bülow come la Decima di Beethoven.
Nonostante utilizzi le forme classiche per le sue composizioni, non risulta mai desueto o antimoderno. Lavorando su di esse, le sviluppa dall'interno, arricchendole col suo spirito profondamente romantico.
Le sue composizioni sono frutto di lungo lavoro (impiegava anni alla ricerca della perfezione, prima di completare un'opera) e sono molto intime (ricordiamoci che nello stesso periodo Wagner sviluppava le sue opere titaniche e super-io-istiche, per coniare un neologismo).
Le sue melodie scorrono fluide e riflessive, l'armonia è ricca di colori ed in continua evoluzione.
Vi sono dei passaggi di tale dolcezza poetica da rendere difficile credere che provengano da quel signore sempre corrucciato e barbuto delle fotografie che lo immortalano.
E dopo tanti anni che lo tengo come un santino sulla mia scrivania, rimango ancora affascinata dalle espressioni incredibili dell'interiorità di questo signore, che all'aspetto non fa trapelare niente, e che invece si espone così tanto attraverso la sua musica.

Ho scelto questo brano, waltz numero 15 da una raccolta di sedici, perché semplice, dolce e sereno.
Lo dedico a tutti quelli che, vicini o lontani, mi sono accanto in questo momento di passaggio, nel quale raggiungo il traguardo del primo quarto di secolo.


mercoledì 15 gennaio 2014

Il Corale

Il Corale è una forma vocale nata durante il XVI secolo (quindi non durante il periodo Barocco come comunemente si pensa!) e sviluppatisi principalmente nell'ambito dei riti di confessione protestante (infatti è in lingua tedesca e non in latino).
Lutero stesso, grande conoscitore del repertorio sacro del tempo, compose la musica di alcuni corali. Questi erano un punto cardine del culto, in quanto erano la forma in cui l'assemblea di fedeli partecipava alla liturgia. Per questo hanno melodie molto semplici, procedono omoritmicamente per frasi e sono -relativamente- facili da cantare. A quattro voci, è originariamente pensato come composizione esclusivamente a cappella, anche se nei secoli successivi, soprattutto nel periodo Barocco e ad opera di Johann Sebastian Bach (1685 - 1750), si diffonde la pratica di armonizzare per strumenti un corale preesistente e utilizzare quanto ottenuto all'interno di opere più vaste o di diversa natura. Bach ha prodotto un numero tale di armonizzazioni (ve ne sono diverse per ciascun Corale!) e adattamenti da essere immediatamente collegato al genere, quasi ne fosse l'inventore. La verità è che molti dei temi all'interno dei suoi Corali, sono opera di altri. Innegabile è, però, il valore artistico di questi arrangiamenti.
Come esempio, riporto il Corale "Aus meines Herzens Grunde" in due versioni: quella che è andata a far parte della "Johannespassion" (Passione secondo Giovanni) BWV 245, ed una versione figurata (con fioriture, note di passaggio, ritardi...una versione più elaborata ed abbellita) BWV 269.
Il Corale originale, di N. Herrmann, non si trova su YouTube.
La versione figurata è la prima di una serie di circa un'ora di Corali: io non riuscirei ad ascoltarli tutti, ma so che alcuni miei lettori (due nomi a caso.....Cosimo e Francesco) apprezzeranno molto.

dalla Johannespassion:
Versione figurata (di un'ora e passa):

martedì 14 gennaio 2014

Il Madrigale del Cinquecento

Il Madrigale del Cinquecento è il mostro sacro del Rinascimento. Nasce dalle forme profane popolari strofiche come la Frottola, senza ereditarne la struttura, ed è influenzato dal Mottetto.
È una composizione vocale di solito a 5 - 6 voci equilibrate, che alterna sezioni in stile omoritmico (in cui tutte le voci procedono simultaneamente con lo stesso ritmo) e in stile contrappuntistico.
La caratteristica fondamentale è lo stretto rapporto tra testo e musica: quest'ultima è pensata per amplificare e trasmettere le immagini poetiche del testo. A fine secolo saranno sviluppati degli artifici, detti "madrigalismi", con lo scopo di rendere ancora di più il significato del testo (non ci sono, nel madrigale che ho scelto. Questo perché ne ho preso uno tra i primi, in cui i madrigalismi non erano ancora in uso).
Questo tipo di repertorio veniva principalmente eseguito "a tavolino" dai membri dei ceti sociali più alti, tutti abili musicisti. La musica svolgeva infatti un ruolo centrale nell'educazione dei giovani nobili, alcuni dei quali arrivavano addirittura ad eccellere a livello, come diremmo noi oggi, professionale. Questi si incontravano nell'intimità dei loro palazzi per far musica ed eseguire queste piccole perle, nel duplice ruolo di artisti e spettatori.
Nella prassi esecutiva capitava spesso che strumenti affiancassero le voci o le sostituissero addirittura, cantando solo la linea vocale superiore.
Ho scelto un madrigale di Philippe Verdelot (1475 - 1552), un compositore francese che trascorse tutta la sua vita in Italia e che è considerato uno dei padri del Madrigale cinquecentesco. Per confronto, riporto sia la versione completamente vocale, che quella con voce e strumenti.

testo:
Ultimi miei sospiri
che mi lasciate fredd'e senza vita
Contate i miei martiri.
Ai chi morì mi vede e non m'aita,
dite, o beltà infinita,
dal tuo fedel ne caccia empio martire.
Et se questo gli è grato, gitene rat'in ciel a miglior stato,
ma se pietà gli porg'il vostro dire,
tornat'a me, ch'io non vorò morire.


versione vocale:

versione voce+strumenti e strumenti soli:

lunedì 13 gennaio 2014

Il Genio e la Grazia

Vorrei parlare, stasera, di un'aria a me molto cara: "Schnelle Füβe, rascher Mut" da "Die Zauberflöte" (il Flauto Magico) di Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791) [....e chi poteva essere il Genio, se non lui?].
L'opera appartiene al genere del Singspiel, una forma operistica che si è sviluppata in area austro-tedesca, in lingua, appunto tedesca. I temi sono di solito di genere favolistico. La grande differenza col teatro italiano è che in questo genere i recitativi sono recitati e non cantati.
La trama del Flauto Magico, se letta ad un livello superficiale, sembra una favola per bambini: vi sono oggetti magici, poteri straordinari, apparizioni di animali e cori di spiriti. È la storia di un ragazzo giovane ed ingenuo che diventa uomo acquistando saggezza grazie alla scoperta dell'amore e al superamento di varie prove.
L'intera opera è in realtà piena di simbologie e significati profondi, che vanno da ideali illuministi a riferimenti alla massoneria, rendendola estremamente ricca e profonda.
E tutto questo, non dimentichiamocelo, è messo in musica dal Genio di Mozart, con incredibile grazia ed eleganza, semplicità ed espressività.
In questa scena Papageno, l'uccellatore, e Pamina, la figlia della Regina della Notte, stanno cercando il principe Tamino quando vengono trovati da Monostatos, il servo di Sarastro, il Sacerdote del Regno della Saggezza. Il servo, assieme ai suoi schiavi, minaccia di imprigionarli. Ma Papageno si mette a suonare il carillon magico che gli era stato donato dalle tre Dame a servizio della Regina, che con la sua musica, induce Monostatos e i suoi schiavi a cantare e ballare con gioia. Così i due sono liberi di continuare la loro ricerca.
Questo frammento di trama, apparentemente "stupidissimo", racchiude ad esempio una concezione della musica capace di grandi poteri sull'animo umano che è stata ereditata dagli antichi greci.
Ho scelto una versione del Flauto Magico che è secondo me la Versione (con V maiuscola) per eccellenza. Ha un cast di grandi cantanti che dimostrano di essere anche grandi attori: Simon Keenlyside nei panni di Papageno, Dorothea Röschmann in quelli di Pamina e la divina Diana Damrau in quelli della Regina della Notte. Vi consiglio caldamente di andarvi a sentire la sua interpretazione della famosissima aria della Regina della Notte. È da brividi!
Il video di YouTube che ho trovato si interrompe sulla scena successiva, lasciando l'amaro in bocca. Purtroppo non ne ho trovati altri online, di quella versione (io ho il DVD, un must).

Testo:
Piedi veloci, animo pronto,
Proteggon dal nemico astuto e irato.
Trovassimo almeno Tamino!
Altrimenti ci acchiappan di nuovo.
PAMINA
Caro giovane! -
PAPAGENO
Zitta, zitta, io so far meglio.
(zufola)
(Tamino risponde da fuori col suo flauto)
A DUE
Quale gioia è mai più grande,
L’amico Tamino ci ode già,
Il suono del flauto è giunto fin qui.
Quale felicità se lo trovo.
Ma rapidi, ma rapidi! -
(vogliono andare)
SCENA QUINDICESIMA
Detti, Monostato.
MONOSTATO
(schernendoli)
Ma rapidi, ma rapidi…
Ah! - vi ho acchiappati di nuovo!
Presto qui con ferri e acciar;
Aspettate, v’insegneremo le buone 
[maniere!
Farla a Monostato! -
Presto qui con catene e funi,
Olà! schiavi, venite qui! -
PAMINA E PAPAGENO
Ah! per noi è finita,adesso!
(Gli schiavi vengono con catene)
PAPAGENO
Chi molto osa, ottiene spesso molto!
Su, bella cassettina,
Fa risuonare i campanelli,
Sì che gli cantino le orecchie.
(Papageno suona il Glockenspiel. Subito
Monostato e gli schiavi danzano e cantano, e
se ne vanno marciando sul ritmo del canto)
MONOSTATO E SCHIAVI
Suona così bene,
Suona così bello!
La la ra, la la ra.
Mai nulla di simile
Ho udito nè veduto!
La la ra, la la ra.
(si allontanano a passo di marcia)
PAPAGENO E PAMINA
(ridono)




Francesca da Rimini - a David Querci

Autunno 1876. Pëtr Il'ič Čajkovskij, trentaseienne, sta viaggiando in treno verso Bayreuth per assistere alla prima de "L'Anello dei Nibelunghi", di Wagner, il cui stile non condivide affatto (Wagner, nato lo stesso anno di Verdi, porterà la rivoluzione nell'opera, ponendo le basi per l'atonalità che si svilupperà più concretamente nella prima metà del Novecento). Durante il lungo viaggio, legge il V canto dell'Inferno di Dante e rimane folgorato dalla vicenda di Paolo e Francesca. Il testo lo ha toccato così profondamente, che al suo ritorno inizia la stesura di una fantasia ad esso ispirata. Dopo solo tre settimane, la partitura è completa, e pronta per la prima esecuzione, che avverrà a Mosca nel febbraio 1877.
La fantasia è tripartita, in forma ABA, ed è preceduta dalla citazione dei versi del V canto e da una breve spiegazione di Čajkovskij stesso. La prima sezione descrive l'atmosfera infernale del secondo cerchio dell'inferno e il vento che trascina senza sosta le anime dannate dei lussuriosi. L'effetto è reso in particolare dagli accordi degli ottoni e dalle continue scale martellanti e veloci di violini e fiati, oltre che dalle numerose dissonanze, di chiaro riferimento a Liszt (anch'egli scrive una sinfonia ispirata alla poesia di Dante) e in parte, paradossalmente, anche a quel Wagner che a Čajkovskij sta così poco simpatico.
La seconda sezione, annunciata dal solo del clarinetto, che col suono caldo del legno è spesso associato alla voce umana, rappresenta il racconto di Francesca. L'atmosfera cambia radicalmente, un attimo di quiete nel caos infernale. Ed è proprio in questa sezione centrale che Čajkovskij dà sfogo alla grande sensibilità e creatività espressiva che lo caratterizza, creando un tema che ritornerà più volte, orchestrato sempre in modo diverso, fino al culmine, in cui è affidato alla sezione degli archi all'unisono.
L'idillio è però condannato a rompersi: attraverso una sapiente dissolvenza Čajkovskij ci fa ripiombare nel caos infernale, ricollegandosi alla sezione iniziale. Dopo un continuo susseguirsi di insistenti scale discendenti, la fantasia si conclude con un accordo dissonante ripetuto nove volte (quanti sono i livelli dell'inferno), prima di quello conclusivo.
Čajkovskij provava una palese empatia con la vicenda di Paolo e Francesca (si evince chiaramente dalla partitura) e per gli amori infelici in generale (un altro suo capolavoro è un'ouverture ispirata a Romeo e Giulietta). È emblematico il fatto che sia stato proprio l'amore la causa della sua morte: omosessuale, aveva instaurato una relazione con il figlio di un conte che, venutolo a sapere, minacciava di denunciare tutto allo zar. Lo scandalo che ne sarebbe derivato avrebbe avuto conseguenze così gravi e diffuse da spingere Čajkovskij ad una scelta definitiva: il suicidio. Bevve acqua infetta e morì, nove giorni dopo la prima esecuzione della sua sesta sinfonia, detta "Patetica", che racchiude il suo testamento artistico e rappresenta il Requiem per se stesso.


sabato 11 gennaio 2014

Rosamunde

Oggi abbiamo Franz Schubert (1797 - 1828), con la musica di scena per una commedia di Helmine con Chezy: Rosamunde, Fürstin von Zypern (Rosamunda, principessa di Cipro).
La storia narra di una pastorella ignara delle sue nobili origini e fu un fiasco colossale.
Unica sopravvissuta al disastro, la musica di Schubert, particolarmente fresca e ricca.
È incredibile come riesca a scrivere cose così belle e spensierate, considerando la vita (breve) che ha "subìto": ha sempre vissuto in serie ristrettezze economiche, era il dodicesimo di quattordici fratelli (di cui solo 5 arrivati ad età adulta), sfortunato in amore (la donna che voleva in moglie sposa un altro uomo perché troppo povero), e malato di una malattia venerea che lo sfinisce. A coronare il tutto, la febbre tifoide se lo porta via a 31 anni.
Ho scelto la Ballet Music n°2, perché ogni volta che la sento, mi viene veramente voglia di ballare, dimenticando per un attimo la triste sorte di quest'uomo, che se avesse avuto più fortuna e quindi la possibilità di coltivare di più il suo talento, avrebbe potuto scrivere chissà quanti altri capolavori.



venerdì 10 gennaio 2014

Syrinx

Una triglia di 3 minuti, oggi, con il flauto come unico protagonista.
Questa composizione, di Claude Debussy (1862 - 1918), è la prima importante composizione per flauto dopo quasi 150 anni di storia, in cui nessuno se lo è filato, ed una pietra miliare del repertorio.
Ho scelto l'interpretazione di Emmanuel Pahud, un flautista svizzero-francese, perché é di una bravura sensazionale (oltre ad essere un bell'uomo...). Ha una imboccatura così naturale che sembra che non soffi affatto!
Riguardo al titolo del pezzo, Syrinx (siringa, in italiano) è uno dei nomi del flauto di Pan. Il mito narra di Pan, che si innamora perdutamente di Syrinx, una ninfa figlia della divinità fluviale Ladone. Ma la ninfa, che non condivide i suoi sentimenti, al tentativo di approccio di Pan corre via terrorizzata ed inorridita dal suo aspetto fino a che, resasi conto di non potergli sfuggire, si mette a pregare le sue sorelle di mutarle forma. La metamorfosi avviene sotto gli occhi di Pan, che riesce ad abbracciare solo un ciuffo di canne e si dispera, sospirando. Ma il suono dolce prodotto dal vento che spira in quel momento proprio tra quelle canne incanta Pan, che crea uno strumento musicale tagliandone una in segmenti diseguali e saldandoli tra loro con della cera, dandogli il nome della sua ninfa, Syrinx.
Il pezzo ha un'atmosfera misteriosa e sensuale, che credo si adatti perfettamente al personaggio di Pan.



giovedì 9 gennaio 2014

Il sistema modale

Il sistema modale è il sistema su cui si è fondata tutta la musica dai greci fino al Barocco, quando è stato gradualmente soppiantato dal sistema tonale.
Si basa sui "modi", che altro non sono che particolari tipi di scale. Nell'evoluzione dei tempi e del gusto, sono sopravvissuti solo due modi all'interno del sistema tonale: il modo maggiore ed il modo minore, quelli che tutti noi conosciamo.
Ma facciamo un passo indietro fino alla civiltà greca (un bel passone grande).
Alla base del sistema musicale greco vi erano delle scale discendenti di quattro suoni. Fissati gli estremi, la disposizione degli intervalli al loro interno determinava il genere: diatonico, cromatico o enarmonico.
Il genere diatonico era composto da due toni ed un semitono; il genere cromatico da una terza maggiore e due semitoni; l'enarmonico da una terza minore e due quarti di tono (perché i raffinatissimi greci conoscevano ed usavano anche le frazioni di semitono).
All'interno del genere diatonico, la posizione del semitono nella scala determinava il modo: modo dorico, con semitono tra terza e quarta nota; frigio, tra seconda e terza; lidio, tra prima e seconda.
Ci sarebbero moltissime cose da dire sulla musica del mondo greco ma rimando tutto ad un post ad hoc, perché materia ricca ed estremamente fascinosa.
Tornando ai modi, anche la prima monodia liturgica cristiana, che è conosciuta sotto il nome di canto gregoriano, si basa sul sistema modale.
In questo caso, le scale di riferimento sono otto, sono ascendenti e di sette suoni. Al loro interno vi sono due cardini fondamentali: la Finalis, che è la nota su cui si conclude il canto, e la Repercussio, che è quello intorno a cui la melodia si svolge. Gli otto modi sono raggruppati in coppie di scale che condividono la stessa Finalis. Nella coppia, il modo detto autentico inizia con la Finalis e ha la Repercussio una quinta sopra (quasi sempre) mentre l'altro, detto plagale (ed indicato nel nome con il prefisso "ipo"), inizia una quarta sotto la Finalis ed ha la Repercussio una terza sopra di questa (quasi sempre). Uno schema potrebbe chiarificare le idee:
Abbiamo cerchiata in rosso la Finalis ed in Verde la Repercussio. Le freccette indicano la variazione rispetto alle regole canoniche ed i nomi sono gli stessi dei modi greci, ma senza alcun collegamento.
Vi metto un video in cui sono proposti quattro canti, tutti in modi diversi. Non vi chiedi di sentirvi tutti e nove i minuti (nemmeno io ho il coraggio) ma di ascoltare almeno l'incipit di ciascuno per sentirne le differenze e provare a riconoscere i cardini fondamentali. 
Il primo canto è nel VII modo, il secondo nel II, il terzo nel V, il quarto nel I.




Frottole

Frottole, Canzonette, Villanelle, Canti Carnascialeschi, Balletti....sono tutte composizioni profane del Rinascimento italiano. Sono strofiche, scritte per gruppo vocale ma molto spesso eseguite con una voce solista e accompagnamento di strumenti polifonici, che sostituiscono le altre linee. I temi sono sempre leggeri e lieti, parlano principalmente d'amore (alle volte anche con sfumature, direi, osé).
Le strofe si ripetono tutte sulla stessa musica, con leggere variazioni interpretative, e alla fine di ogni sezione vi è spesso una sorta di ritornello non-sense come il "falala" (caratteristico dei Balletti).
Da queste forme molto popolaresche e "leggere" si svilupperà il mostro sacro della musica profana del Rinascimento: il Madrigale del Cinquecento (va specificato, perché esiste anche il Madrigale del Trecento, che è molto diverso).
Ho scelto questa Frottola perché estremamente leggiadra e ben rappresentativa, nelle sonorità, della grazia e dell'eleganza del Rinascimento italiano.
Purtroppo non ho trovato il testo, che non si capisce benissimo. Il protagonista è Scaramella, che si innamora di una ragazza. Purtroppo le cose non vanno bene, perché da quanto ho capito, questo poveraccio finisce per andare in guerra e morire.
Carinissimo e molto rappresentativo il ritornello decorato con "zumberum bum".


mercoledì 8 gennaio 2014

La forma-sonata

La forma-sonata è una struttura elaborata nel periodo classico, quindi partendo dal VIII secolo.
È applicata di solito al primo movimento di una sonata, un quartetto, una sinfonia o un concerto, ma vi sono illustri esempi (per dirne uno, le sonate di Beethoven) che la applicano anche ad altri movimenti.
È stata elaborata da Mozart (1756 - 1791) e da Beethoven (1770 - 1827) sul modello di Haydn (1732 - 1809).
È classificata come bitematica, perché vi sono due temi ricorrenti, e tripartita, perché divisa in tre sezioni: Esposizione, Svolgimento, Ripresa.
La forma-sonata si apre con l'Esposizione in cui vengono, appunto, esposti i due temi. Il primo nella tonalità di imposto, il secondo di solito alla dominante (il quinto grado della scala), al relativo maggiore/minore o più raramente alla mediante (a distanza di un intervallo di terza). Visto che i due temi sono in due tonalità diverse, sono collegati da un passaggio modulante che può usare il materiale melodico del primo tema o idee nuove.
I due temi di solito sono diversi e riconoscibili. Soprattutto in Beethoven, che è una sorta di Capitan Contrasto, sono proprio diametralmente opposti: se uno è in modo maggiore, legato e a valori larghi, l'altro è in minore, staccato e fitto di quartine.
L'Esposizione si chiude con una o più code al secondo tema e con un ritornello. Il ritornello è molto importante, perché i temi devono rimanere impressi nell'ascoltatore per poi permettergli di riconoscerli nelle sezioni successive: quale modo migliore di fare questo, se non di farceli sentire due volte?
Conclusa l'Esposizione, inizia lo Sviluppo che non è altro, come dice la parola stessa, un'elaborazione dei materiali presentati nell'esposizione. Questa elaborazione viene fatta partendo (di solito) dal primo tema e trasformandolo passando in varie tonalità. È la parte più libera e personale della forma-sonata, in cui l'autore può veramente sbizzarrirsi e dare sfogo alla proprio creatività.
Lo Sviluppo si conclude tornando nell'impianto tonale di partenza. A questo punto parte la Ripresa, che altro non è che la ripresentazione dei due temi: il primo, esattamente come nell'Esposizione, il secondo questa volta trasportato nel tono d'imposto. I due temi sono collegati da un passaggio che può essere modulante ma deve essere diverso da quello dell'Esposizione perché deve collegare due materiali nella stessa tonalità.
La Ripresa conclude il movimento con una o più code, spesso su pedale di tonica (il pedale è una nota al basso tenuta per molte battute: può essere di tonica, quindi il primo grado della scala, che si trova spesso nelle conclusioni dei pezzi, o di dominante, il quinto grado, che si trova abbastanza spesso alla fine dell'Esposizione o comunque a collegamento di due sezioni).

Questa è la struttura "scolastica" della forma-sonata; ovviamente se ne trovano molte varianti.
Io ho scelto il primo movimento della sonata per pianoforte k 310 di Wolfgang Amadeus Mozart, perché un bel modello di forma-sonata, perché i temi sono in contrasto (uno minore ed uno maggiore, ma lo sentirete da voi) e perché -ovviamente- mi piace molto. È una delle prime sonate in cui il Genio inizia a sfruttare a pieno le potenzialità di questo strumento (o, "soprammobile", come spesso viene chiamato in modo "leggermente" dispregiativo tra gli strumenti a fiato) a martelletti dalle grandi potenzialità.
L'interprete è Friedrich Gulda, e purtroppo l'audio non è dei migliori. Ma mi piaceva lui!
Vi consiglio di sentirvi tutta la sonata, soprattutto il terzo movimento, un Rondo, di grande effetto.


martedì 7 gennaio 2014

La Tempesta

Ovvero la sonata per pianoforte (diciassettesima di trentadue), op. 31 n°2 di Ludwig van Beethoven (1770 -1827).
Anche se il nome non le è stato dato dall'autore, trovo che le si addica molto, soprattutto per quanto riguarda il terzo movimento, che è quello che volevo proporre.
È un "Allegretto", la cui struttura in Beethoven è sempre difficile da definire, e questo è identificabile come forma sonata (cosa è la forma sonata? La forma del periodo classico per eccellenza, elaborata da Haydn in primis. C'è un post ad hoc!).
Lasciando da parte tutte le parolone e le teorie, trovo molto suggestivo questo movimento per la sensazione di moto che dà, grazie agli arpeggi iniziali, e ai contrasti di volume che, effettivamente, rendono così bene l'idea di "tempesta".
Ho scelto l'esecuzione di Daniel Barenboim perché trovo che sia un grande interprete delle sonate di Beethoven (e perché mi stupisco ogni volta di cosa riesca a fare con quelle manine così "poco pianistiche"!)

Perché?

Chi mi conosce sa che per la scrittura, e in generale per la lingua italiana, non sono proprio portata. Per questo vorrei inaugurare (o INCIGNARE, come si dice dalle mie parti) questo blog partendo direttamente con la musica, che ne sarà la grande protagonista.
Vorrei iniziare con un autore a me molto caro, tra i più sottovalutati e meno diffusi nelle sale da concerto e nei teatri dei giorni nostri: Claudio Monteverdi (1567 - 1643).
Il primo vero genio della storia della musica, che nel passaggio tra i due secoli è riuscito ad essere sempre moderno e al passo coi tempi.
Uno tra i suoi più grandi meriti è quello di aver contribuito alla nascita dell'opera. Ed è proprio dall'opera che vorrei partire, proponendovi l'apertura e la prima aria de "L'Orfeo", sottotitolata "Favola in musica".
In quest'aria vi è il personaggio della Musica che canta, presentandosi e introducendo la storia. Da segnalare, nella seconda e terza quartina, la concezione della Musica come capace di influenzare gli animi ed il riferimento all'armonia delle sfere (l'armonia dell'universo), caratteri tipici del mondo greco.
Ma la parte geniale è nell'ultima quartina: Monteverdi invita gli ascoltatori al silenzio!
Finché Musica canta, si fermino gli uccelli tra le piante, i fiumi e il vento.

link:
http://youtu.be/EdHFxkd7s0s
Ho scelto Jordi Savall (direttore) e sua moglie Monserrat Figueras (Musica) perché grandissimi interpreti di questo tipo di repertorio. E poi lei ha una voce pazzesca!
Purtroppo il video non si può incorporare e ed è di scarsa qualità, ma non c'era di meglio.


testo:
Dal mio Permesso amato a voi ne vegno,
incliti eroi, sangue gentil di regi,
di cui narra la fama eccelsi pregi,
né giugne al ver perch'è troppo alto il segno.

Io la Musica son, ch'a i dolci accenti
so far tranquillo ogni turbato core,
ed or di nobil ira, ed or d'amore
posso infiammar le più gelate menti.

Io su cetera d'or cantando soglio
mortal orecchio lusingar talora,
e in guisa tal de l'armonia sonora
de le rote del ciel più l'alme invoglio.

Quinci a dirvi d'Orfeo desio mi sprona,
d'Orfeo che trasse al suo cantar le fere,
e servo fe' l'inferno a sue preghiere,
gloria immortal di Pindo e d'Elicona.

Or mentre i canti alterno, or lieti, or mesti,
non si mova augellin fra queste piante,
né s'oda in queste rive onda sonante,
ed ogni auretta in suo camin s'arresti.